Cultura

Festival di Locarno: discreto Judd Apatow, deludente Andrzej Zulawski

  • Abbonati
  • Accedi
cinema

Festival di Locarno: discreto Judd Apatow, deludente Andrzej Zulawski

Il cinema americano ancora protagonista al Festival di Locarno: dopo Antoine Fuqua con «Southpaw», è arrivato il turno di Judd Apatow con la sua nuova commedia «Trainwreck».

Protagonista è Amy, una giornalista cresciuta con l'idea che la monogamia non sia un'opzione possibile. Ma l'incontro con Aaron potrebbe cambiare ogni sua certezza.
Inserita nella sezione Piazza Grande, «Trainwreck» è una pellicola in cui si respira, nel bene e nel male, tutta la poetica del suo regista: i personaggi principali sono adulti mai davvero cresciuti, l'ironia è tagliente e la sceneggiatura godibile e scorrevole.
Apatow, però, gioca un po' di maniera e riprende molte riflessioni già sviluppate nel suo precedente «Questi sono i 40» (2012), forse il titolo migliore di una carriera altalenante e spesso dedicata al cinema più demenziale.

In ogni caso, «Trainwreck», tra i diversi limiti (compreso un ritmo e un cast che funzionano a fasi alterne), ha anche alcuni pregi importanti, a partire da un più che discreto approfondimento sui personaggi, credibili e scritti con buona cura.
Il risultato, pur senza grandi pretese, è onesto e capace di non prendersi troppo sul serio.
Piccola curiosità: il copione è stato scritto dalla stessa protagonista Amy Schumer. Nelle sale italiane uscirà il 17 settembre con il titolo «Un disastro di ragazza».
Decisamente peggio di Apatow fa, in questo caso, Andrzej Zulawski che ha portato in concorso «Cosmos».

Al centro del film ci sono due ragazzi, Witold e Fuchs, che si ritrovano casualmente a passare qualche giorno in una bizzarra pensione familiare. Qui dovranno fare i conti con persone ben poco equilibrate e con una serie di presagi inquietanti.
Quindici anni dopo «La fidélité», il regista polacco torna dietro la macchina da presa per un lungometraggio grottesco e surreale, privo di un centro narrativo a cui appoggiarsi e attraversato da riferimenti (teatrali, cinematografici, letterari) di vario genere.

Prendendo spunto da un romanzo di Gombrowicz, Zulawski ha realizzato un lungometraggio pseudointellettuale, che tenta di nascondere la sua pochezza strutturale e contenutistica dietro una serie infinita di citazioni.
L'autore di film di culto come «Possession» (1981) e «Sul globo d'argento» (1988) è quasi irriconoscibile mentre si assiste a questo inutile esercizio di stile, penalizzato fin dalle prime battute da scelte (tanto sonore quanto visive) totalmente inadeguate.
Da dimenticare.

© Riproduzione riservata