Cultura

Addio a Franco Zeffirelli, maestro del gusto italiano

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Una vita tra cinema e teatro

Addio a Franco Zeffirelli, maestro del gusto italiano

Tornerà nella sua Firenze nella cappella di famiglia al cimitero monumentale delle Porte Sante a San Miniato al Monte, Franco Zeffirelli, mancato a Roma il 15 giugno, all’età di 96 anni, dopo una lunga malattia. Lo hanno annunciato i figli adottivi Pippo e Luciano. Zeffirelli fu regista, scenografo e sceneggiatore, firmò innumerevoli regie sia per il cinema, che per il teatro e l’opera, da allievo, quale lui fieramente si dichiarava, di Luchino Visconti, con cui aveva inziato il suo apprendistato dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Allestì per il regista lombardo le scene teatrali di “Troilo e Cressida” (1949) e fu assistente di regia, assieme a Francesco Rosi, di “La terra trema” (1948), ispirato al romanzo dei “Malavoglia”, e “Senso” (1954).

Visconti fu per Zeffirelli molto più di un maestro. Fu il suo compagno di vita, per un periodo vissero assieme, una figura carismatica e forse il padre - avevano più di 15 anni di differenza -, contestato ma amatissimo, che non aveva mai avuto. L’infanzia di Zeffirelli era stata funestata infatti dalla morte della madre, che perse da bambino, e dalla mancanza del padre, che lo riconobbe solo a 19 anni. Visconti lo fece lavorare con Francesco Rosi per prepararlo al debutto dietro la macchina da presa con “Camping” nel 1957, ma presero strade completamente diverse. Rosi si dedicò al cinema di inchiesta, Zeffirelli si instradò verso una cifra romantica, melodrammatica, con ampio spazio per rifessioni sul cattolicesimo, fede che aveva abbracciato forse anche grazie all’influsso di Giorgio La Pira, suo istitutore in collegio.

Visconti fu per Zeffirelli croce e delizia, perché la figura del maestro, che aveva firmato “Rocco e i suoi fratelli” e “Il Gattopardo”, divenne un’ombra ingombrante. La critica contestava a Zeffirelli di aver acquisito da Visconti una perfezione estetica, che però, diversamente dal suo nume tutelare, mancava di sostanza. Gli contestava di essere uno scenografo più che un regista, nell’indubitabile amore per i grandi spazi, il lusso delle scene e dei costumi, una perfezione innaturale. Vedeva in Zeffirelli un riferimento passatista al modello rinascimentale, riprodotto nella sua abilità nel disegnare che rendeva la scena un quadro. Una produzione insomma avulsa dalla contemporaneità e pertanto artificiale.

La critica però non aveva fatto i conti con l’influenza delle bellezze architettoniche della sua città natìa e teneva poco conto della sua notevole capacità nel fare recitare i suoi attori (mano dei grandi) e della facilità con cui riusciva a rendere al grande pubblico i successi scespiariani, che gli aprirono le porte della ribalta internazionale (“La bisbetica domata”dove riunì Richard Burton e Liz Taylor, coppia litigiosissima, nel 1967 e “Romeo e Giulietta” nel 1968).

Dimostrò di poter usare diversi registri, oltre a quello che gli era consueto, per esempio nel documentario di mano neorealistica sull’alluvione dal titolo “Per Firenze (1966)”, con la voce narrante di Richard Burton, di cui era diventato amico proprio grazie a Visconti, che lo introdusse anche ad Anna Magnani e Maria Callas, cui dedicò “Callas forever” (2002).

Di carattere spigoloso e fumino, dandy, ma toscanaccio nell’anima, mal accettò le critiche definendosi uno straniero in Italia.

Gli anni Sessanta furono il periodo del suo fulgore teatrale: diresse l’”Amleto” con Giorgio Albertazzi , recitato anche in inglese a Londra nel quattrocentesimo anniversario della nascita di Shakespeare; “Chi ha paura di Virginia Woolf” con Enrico Maria Salerno e Sarah Ferrati, e “La lupa” di Verga con Anna Magnani.

Nel 1972, quando girò “Fratello sole, sorella luna”, era già una star, soprattutto all’estero, dove era considerato l’icona del gusto italiano. Nel ripercorrere le gesta di san Francesco fece emergere la sua anima cattolica che lo portò, due anni dopo, a firmare per la televisione la cerimonia dell’Anno Santo e poi il kolossal “Gesù di Nazareth” (1976), miniserie televisiva con Robert Powell nei panni di Cristo. Lo avrebbe seguito anni più tardi in una pellicola molto più cruenta e sanguigna, “La passione di Cristo”, Mel Gibson, che fu anche protagonista per Zeffirelli di “Amleto” nel 1990 .

Alternò cinema e teatro con il mondo della musica: fu un trionfo la sua “Aida” del 1964 con le scene Lila De Nobili alla Scala, di cui fece altre due versioni, sempre per il teatro milanese, l’ultima nel 2006 con Roberto Bolle. Esportò questa sua passione anche sul grande schermo con “'Il giovane Toscanini” (contestato a Venezia nel 1988) . Con il tetaro milanese lavorò moltissimo per altre opere, a partire da”Cenerentola” nel 1954.

Fu protagonista insuperato per presenza nei due teatri d’opera più importanti del mondo, a Vienna con oltre 500 repliche di “Bohème”, e al Metroppolitan di New York con oltre 800 serate, coi grandi capolavori italiani.

Negli anni Novanta cominciò un lento declino, almeno sul piano cinematografico. Non fu festeggiato il suo pur elegante “Jane Eyre” (1996) e nemmeno il parzialmente autobiografico “Un tè con Mussolini” (1999).

Aveva però già imboccato la via della politica, cosa che di solito la critica non perdona , diventando senatore di Forza Italia 1994. Sperava di cambiare le cose nel mondo della cultura, ma le sue proposte non andarono in porto, anche per le sue provocazioni, divisive nel suo stesso schieramento, da polemista irriducibile qual era. Pian piano arrivò a una sempre maggiore chiusura verso il mondo esterno.

Nella sua Firenze riuscì però a creare la Fondazione per le Arti e lo Spettacolo che porta il suo nome, in pieno centro, nell’ex Tribunale di Piazza Firenze, dietro Palazzo Vecchio, in cui vi sono le testimoninanze della sua vita artistica.

Riconoscimenti
Zeffirelli non ha ottenuto nessun riconoscimento per i suoi film nei grandi festival, è però l’unico regista italiano che poteva fregiarsi del titolo di cavaliere dell’ordine dell’impero britannico , conferitogli dalla Regina Elisabetta nel 2004.

Le sue opere hanno avuto 14 nomination agli Oscar (per “Romeo e Giulietta” nel 1968 come miglior regista e per “La Traviata” nel 1982 quale migliore scenografia) ma non hanno mai guadagnato una statuetta. Ha ottenuto però cinque David di Donatello e due Nastri d'argento

Le reazioni
Unanimi le reazioni di cordoglio dal mondo della politica. «Non avrei mai voluto che arrivasse questo giorno. Uno dei più grandi uomini della cultura mondiale. Ci uniamo al dolore dei suoi cari. Addio caro Maestro, Firenze non ti dimenticherà mai» ha scritto il sindaco di Firenze Dario Nardella su Twitter.

Il Presidente del Senato Elisabetta Casellati ha commentato: «Esprimo tutto il mio cordoglio personale e come Presidente del Senato per la scomparsa del
Maestro Franco Zeffirelli, un genio dell’arte e della cultura che nel corso della sua carriera ha fatto della bellezza il suo linguaggio e ha portato lustro al nostro Paese anche come senatore della Repubblica».

Il ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli ha ricordato così il regista su Twitter: «Con Zeffirelli ci lascia un altro gigante della nostra cultura. Un Maestro straordinario, orgoglio italiano nel mondo. Grazie per tutto quello che ci ha dato». «Lunedì mattina nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio sarà allestita la camera ardente per il Maestro Zeffirelli. Tutto il mondo potrà salutarlo nella sua Firenze». Lo annuncia su twitter il sindaco di Firenze, Dario Nardella.

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