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Il petrolio corre sull’ipotesi di tagli di produzione Russia-Opec

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Il petrolio corre sull’ipotesi di tagli di produzione Russia-Opec

Le voci si rincorrevano da giorni, ma adesso la possibilità che la Russia tagli insieme all’Opec la produzione di petrolio è diventata improvvisamente molto più concreta. Almeno agli occhi del mercato, che con un balzo di quasi l’8% ha riportato le quotazioni del Brent a sfiorare 36 dollari al barile. Da Mosca, attraverso agenzie di stampa locali, ha parlato il ministro dell’Energia Alexander Novak, quello stesso ministro che nei mesi scorsi aveva più volte gelato le speculazioni su una collaborazione con l’Organizzazione degli esportatori di greggio. Stavolta Novak afferma che l’Arabia Saudita ha proposto a tutti i produttori una riduzione del 5% dell’output e che la Russia la sta prendendo sul serio: tanto sul serio da essere pronta a discuterla in un incontro a livello ministeriale, che potrebbe tenersi già in febbraio, con la partecipazione di altri Paesi esterni all’Opec.

Non c’è nessuna garanzia che si arrivi davvero a un accordo. Dall’Opec non è arrivata nessuna conferma: qualche delegato, in forma anonima, ha anzi smentito l’esistenza di una proposta saudita, motivo per cui i rialzi del greggio si sono attenutati (il Brent ha poi chiuso a 33,89 $, +2,4%). Lo stesso Novak del resto ha messo le mani avanti precisando che il taglio non è cosa fatta, ma solo l’«oggetto di discussioni, di cui è troppo presto per parlare». Sul tavolo, ha proseguito il ministro, ci sono molte questioni da dirimere: «Come controllare i tagli, da che base calcolarli... Per cominciare a risolvere questi aspetti abbiamo bisogno di un accordo generale».

Simili consultazioni in passato erano finite con un buco nell’acqua. Il fallimento più clamoroso risale a novembre 2014, alla vigilia dello storico vertice in cui l’Opec decise di lasciar crollare il prezzo del petrolio per costringere alla resa i concorrenti con i costi estrattivi più elevati, a cominciare dagli americani dello shale oil. Novak in persona si era recato a Vienna per trattare con i sauditi, accompagnato dal potente ceo di Rosneft, Igor Sechin, molto vicino al Cremlino. All’incontro, organizzato su insistenza del Venezuela, era andato anche il ministro dell’Energia messicano. Ma le cose non andarono per il verso giusto: le parti, secondo indiscrezioni, finirono addirittura per litigare.

«All’epoca - dice ora Novak - la situazione era un po’ diversa. Come possiamo vedere il prezzo del petrolio è caduto».

Il confronto con l’autunno 2014 è in effetti impressionante: i produttori erano già in forte allarme, ma il barile scambiava ancora intorno a 80 dollari. Pochi giorni fa è sceso addirittura sotto 27 dollari. La strategia dell’Opec forse sta cominciando a funzionare, ma con tempi lunghissimi rispetto alle speranze dei produttori: negli Usa lo shale oil ha cominciato a calare e potrebbe presto accelerare la discesa, considerate le condizioni finanziarie sempre più difficili in cui versano i ”frackers” americani.

Altri concorrenti dell’Opec, Russia compresa, stanno però tuttora estraendo petrolio a pieno ritmo: Mosca è addirittura al record post-sovietico di produzione, con 10,7 milioni di barili al giorno, e in un mercato importante come la Cina sta sottraendo quote di mercato ai sauditi. Fino a pochi giorni fa inoltre il Governo (e lo stesso Novak) aveva sempre sostenuto che per la Russia tagliare la produzione è tecnicamente difficile, visto che molti giacimenti sono in zone esposte al gelo, e che comunque le compagnie russe erano autonome nella scelta delle strategie produttive.

Non sembra molto credibile che proprio adesso Mosca abbia deciso di piegare la testa, anche se nei giorni scorsi diversi esponenti dell’industria locale - tra cui Leonid Fedun, vicepresidente e azionista di Lukoil - avevano auspicato un taglio congiunto con l’Opec e anche se la salute dell’economia russa è sempre più precaria a causa del crollo del petrolio.

L’Arabia Saudita ha sempre detto che avrebbe ridotto la produzione di greggio solo se altri grandi fornitori avessero fatto altrettanto. Un taglio coordinato non le farebbe quindi perdere la faccia. Inoltre, se anche fossero solo Riyadh e Mosca a partecipare, il mercato petrolifero avrebbe praticamente risolto il problema dell’eccesso di offerta: un loro taglio del 5% equivale al ritiro di oltre un milione di barili di greggio al giorno. Anche l’Iraq tra l’altro, pochi giorni fa, si è detto disposto a partecipare, «se ci sarà consenso».

Resta però il problema - tutt’altro che secondario - dell’Iran, che ha appena ottenuto la revoca delle sanzioni internazionali e per nulla al mondo rinuncerebbe a tornare ad espandere liberamente produzione ed esportazioni. Per i sauditi, inoltre, è molto difficile fidarsi dei russi.

Mosca in passato è stata chiamata più volte a collaborare con l’Opec per risollevare le quotazioni del greggio. Ma tutte le volte che ha promesso dei tagli, ha poi tradito i suoi impegni. È successo nel 2008-2009 e prima ancora nel 1999 e nel 2001, quando oltre alla Russia vennero coinvolti anche Norvegia, Oman e Messico. Tutti dissero che avrebbero tagliato la produzione solo insieme agli altri e alla fine - a parte l’Opec, ossia in pratica l’Arabia Saudita - non lo fece nessuno. Mosca addirittura ne approfittò per aumentare le esportazioni.

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