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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2014 alle ore 07:35.
L'ultima modifica è del 26 novembre 2014 alle ore 07:37.

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(Ap)(Ap)

Il mercato aveva cominciato a crederci. Ma l'aspettativa di un'alleanza tra la Russia e l'Opec è svanita nel giro di poche ore, azzerando il rialzo del petrolio e riportandolo vicino ai minimi da quattro anni: 78,33 dollari al barile in chiusura per il Brent. In compenso stanno cominciando a circolare indiscrezioni su una convergenza di posizioni all'interno dell'Organizzazione degli esportatori di greggio: l'Arabia Saudita, in particolare, sarebbe disponibile ad appoggiare un richiamo al rispetto del tetto di produzione, fermo a 30 milioni di barili al giorno: un magro risultato, che rischia di avere scarsi effetti sulle quotazioni petrolifere, ma che equivarrebbe comunque a un taglio dell'output, se i paesi membri dell'Opec saranno rispettosi della decisione.

Ben più efficace sarebbe stato un coordinamento con produttori esterni al Cartello, come per l'appunto la Russia. A risvegliare l'attesa di una collaborazione – una strada peraltro già percorsa in passato, sia pure con scarso successo – erano state dapprima le voci riportate dal quotidiano russo Kommersant, secondo cui Mosca era pronta a tagliare 300mila barili al giorno se l'Opec ne avesse tolti di mezzo 1,4 milioni. La notizia decisiva è però arrivata ieri, quando si è saputo che i ministri dell'Energia di Russia e Messico avrebbero incontrato nella capitale austriaca il potente ministro del Petrolio saudita, Ali Al Naimi, e il responsabile degli Esteri venezuelano, Rafael Ramirez, uno dei più agguerriti “falchi” dell'Opec.

Era stato proprio Ramirez a dare pubblicità alla riunione, annunciando che sarebbe sfociata in qualche forma di «coordinamento» tra i produttori, e a generare forti aspettative aveva contribuito l'ufficio stampa di Rosneft: Igor Sechin, ceo della compagnia russa e grande amico del presidente Vladimir Putin, avrebbe affiancato il ministro Alexander Novak nell'incontro, convocato per «discutere le condizioni del mercato del petrolio» e verso le 17 ora italiana ci sarebbe stata una conferenza stampa, con un «importante annuncio». Un comunicato (forse addirittura congiunto) sarebbe stato diffuso di lì a breve.

Qualcosa è andato storto. Storto al punto che Sechin – invece di fare annunci e rispondere alle domande dei giornalisti – è sgattaiolato via da un'uscita secondaria, per fare rientro la sera stessa a Mosca. Il ministro messicano Pedro Joaquìn Coldwell, volato a Vienna solo per partecipare a questa riunione, se n'è andato addirittura prima che finisse.
Nel silenzio assoluto di Novak e Al Naimi, è toccato al venezuelano Ramirez sgonfiare le aspettative del mercato, riferendo un esito davvero deludente: «Abbiamo deciso di tenerci in contatto e di incontrarci di nuovo fra tre mesi», ha detto il ministro. Quanto ad azioni congiunte, è davvero difficile intravvederne: «Il petrolio sotto 80 dollari ci preoccupa tutti – ha aggiunto – Ma ognuno ha la propria visione del mercato».

In serata è si è finalmente fatto sentire anche Sechin, con un comunicato scritto diffuso da Rosneft, da cui trapela il disappunto per l'occasione mancata: alla riunione, osserva la nota, hanno partecipato paesi che rappresentano quasi il 30% dell'offerta mondiale di petrolio e addirittura «oltre la metà se si conta anche la produzione dei loro stretti associati».

«Gli attuali livelli di prezzo per noi non sono critici», mette le mani avanti Sechin. Tuttavia, se si vogliono riequilibrare domanda e offerta, «sono necessarie azioni concordate e coordinate da parte di tutti o della maggior parte dei protagonisti del mercato petrolifero». Bisognerebbe però differenziare i compiti, aggiunge il ceo di Rosneft: «A causa di fattori climatici, logistici e tecnologici, la Russia non può immediatamente tagliare la produzione. Ma è in grado di avviare misure strutturate, con implicazioni di medio e lungo termine».
Una riduzione della produzione russa è in effetti probabile, secondo gli analisti. Ma non sarà immediata – anche perché il gelo impedisce di chiudere rapidamente gli impianti in Siberia – e di sicuro non sarà volontaria, ma effetto piuttosto delle sanzioni internazionali.
twitter.com/SissiBellomo

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