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Il petrolio a 50 dollari e la possibile staffetta tra Opec e shale oil

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L'Analisi|Materie prime

Il petrolio a 50 dollari e la possibile staffetta tra Opec e shale oil

Cinquanta dollari al barile si conferma un traguardo difficile da riconquistare per il petrolio. Ieri ci si è andati molto vicino: il Wti, in rialzo di oltre il 2%, si è spinto fino a 49,73 dollari, il massimo da 7 mesi. Il Brent, con cui il riferimento americano ha ormai chiuso le distanze, si è fermato a 49,74 dollari. Il tentativo di violare quella che non è solo una soglia psicologica, ma anche una resistenza tecnica, non è riuscito nemmeno con l’aiuto dei dati dagli Stati Uniti, che hanno mostrato un forte calo delle scorte di greggio (-4,2 milioni di barili la scorsa settimana, sia pure a fronte di un accumulo di benzine), un ulteriore passo indietro della produzione e una domanda vigorosa alla vigilia della cosiddetta driving season, al via ufficialmente lunedì col Memorial Day.

Gli automobilisti americani nelle ultime 4 settimane hanno consumato 9,6 milioni di barili al giorno di benzine, secondo il dipartimento dell’Energia, la più alta media stagionale da almeno un decennio. In marzo hanno guidato per 273,4 miliardi di miglia, il 5% in più rispetto a un anno prima, segnala invece il dipartimento dei Trasporti: si tratta di 440 miliardi di chilometri, quasi tremila volte la distanza tra la Terra e il Sole.

“Gli Stati Uniti tuttavia non sono più cruciali soltanto come consumatori di petrolio, ma anche come fornitori”

 

Gli Stati Uniti tuttavia non sono più cruciali soltanto come consumatori di petrolio, ma anche come fornitori. E se lo shale oil continua per ora a ritirarsi (la produzione Usa è scesa ancora, attestandosi a 8,8 milioni di barili al giorno, contro i 9,7 mbg di un anno fa), ci sono anche segnali che potrebbe tornare in gioco facilmente, assumendo davvero il ruolo di swing producer che fino a poco tempo fa era appannaggio dell’Opec, o meglio dell’Arabia Saudita.

Anche il prossimo vertice dell’Organizzazione, la prossima settimana a Vienna, non dovrebbe riservare sorprese: nessuno si aspetta tagli di produzione e nemmeno la resurrezione del piano per congelare l’output, anche se l’Iran ha effettivamente recuperato i livelli produttivi di prima delle sanzioni, con 3,6 mbg in aprile, un record da novembre 2011. Le sorprese potrebbero in compenso arrivare dagli Usa.

Con gli incendi nella provincia dell’Alberta, che hanno fermato le oil sands, riducendo di un quarto le forniture canadesi, le raffinerie statunitensi sono tornate ad apprezzare il greggio di casa: il prezzo dello shale oil prodotto a Bakken - una delle aree più colpite dalla crisi - si è impennato fino ai massimi da tre anni, arrivando a superare di 30 centesimi quello del Wti. Dal 2014 fino a poco tempo fa era scambiato a sconto, in media di 3,45 dollari al barile. Se la situazione dovesse durare, è probabile che i produttori saranno presto tentati dal rimettere in moto le trivelle.

Benvenuti nel nuovo mondo del petrolio, dove superare 50 dollari al barile può essere difficile, mantenersi stabilmente al di sopra rischia di esserlo ancora di più.

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