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Ecco il piano per le banche (e il nodo delle deroghe Ue)

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dopo brexit

Ecco il piano per le banche (e il nodo delle deroghe Ue)

Tutte le porte aperte, le opzioni sul tavolo, gli strumenti, anche quelli inediti, pronti nel cassetto. Tutte le armi affilate. Se servirà un’operazione straordinaria risolutiva per mettere in sicurezza il sistema bancario italiano ed europeo, un intervento speciale calato nel contesto eccezionale scatenato da Brexit, ebbene questo armageddon salterà fuori. È questo il senso del piano salva-banche che Palazzo Chigi, il ministro dell’Economia e la Banca d’Italia stanno mettendo a punto per far sì che le turbolenze senza precedenti del voto “Leave” non inneschino un rischio sistemico che sarebbe disastroso per la crescita. Una crescita già messa a dura prova dalla possibilità, che ogni giorno si fa più concreta, del Regno Unito in recessione nell’arco dei prossimi mesi.

Il piano per sostenere il sistema bancario (anticipato sul Sole 24 Ore del 26 giugno) al momento non ha forma esatta e non ha una cifra, una dimensione. È un ventaglio di interventi che dovrà funzionare ed essere sostenibile quindi con operazioni di mercato, concrete e strutturali. Le ipotesi allo studio al momento non escludono alcun colpo in canna: se dovesse essere possibile in seguito all’apertura dei partner europei maggiori margini di manovra, il Tesoro potrebbe intervenire con garanzie o con interventi di capitalizzazione diretta, su equity e crediti deteriorati, all’occorrenza aumentando gli importi delle aste dei titoli di Stato, in un’annata nata leggera rispetto alle emissioni lorde di altri anni e alleggerita comunque dagli acquisti massicci della Bce. La Cdp è pronta a fare la sua parte, tenuto conto dei vincoli dello statuto e patrimoniali: lo ha già fatto per i non-performing loans, contribuendo a creare un mercato.

Questo action plan non potrà decollare senza che prima venga definita la sua cornice, che potrà essere soltanto europea, ridisegnata alla luce di Brexit. Non se ne è parlato ieri al vertice ristretto tra il premier Renzi, la cancelliera Merkel e il presidente francese Hollande, dicono le fonti ufficiali, ma le diplomazie e i tecnici sono al lavoro sull’iniziativa italiana e già oggi il tema bancario potrebbe entrare nel Consiglio Ue. Il problema delle banche non è soltanto italiano, è un problema europeo, ma le soluzioni potrebbero essere lasciate libere a livello nazionale. Ogni Paese sa il tipo di problema che ha e come può affrontarlo. Prima di tutto, però, è necessario allentare le cornici europee del bail in e degli aiuti di Stato che limiterebbero gli strumenti a disposizione. Allentarle utilizzando al meglio le possibilità di deroga che queste stesse discipline prevedono per circostanze eccezionali.

La prima cornice che andrebbe allentata è quella del bail-in, perchè l’Italia è il Paese che più di tutti ne viene penalizzato in quanto le banche italiane hanno collocato la quota più elevata di obbligazioni bancarie senior e subordinate collocate presso la clientela retail. Limitare il bail-in agli investitori istituzionali , lasciando fuori i risparmiatori, servirebbe a cementare la fiducia dei privati nelle banche. Lo stesso obiettivo verrebbe centrato rivitalizzando e accelerando la garanzia unica europea sui depositi fino a 100mila euro, ora rimasta al palo. Una “sospensione” del bail-in potrebbe tra l'altro innescare un processo virtuoso, consentendo all’ESM di intervenire nella ricapitalizzazione delle banche non come ultimo stadio dopo aver fatto pagare il conto ai creditori (privati e non) ma per prevenire le grandi crisi. L’ESM ha a disposizione una dote da 400 miliardi: ma può ora intervenire solo dopo il Fondo di risoluzione unico bancario, che tra l'altro ha bisogno di anni di versamenti bancari per entrare in operatività a pieni giri.

Un altro allentamento delle corde per consentire la stesura del piano salva-banche italiano è quello di una nuova cornice sugli aiuti di Stato relativamente al settore bancario: l’intervento a gamba tesa sul salvataggio di alcune piccole banche italiane ha imposto la creazione di fondi di garanzia “volontari” (non più obbligatori) che però portano a un circolo vizioso: le banche buone non possono farsi carico sempre e comunque del salvataggio delle banche in difficoltà perchè rischiano la loro stessa solidità e il mercato è pronto a penalizzarle per questo.

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