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Petrolio, l’Iran dice sì al vertice di Algeri e il Brent risale…

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Petrolio, l’Iran dice sì al vertice di Algeri e il Brent risale a 50 dollari

(Reuters)
(Reuters)

Il petrolio scende un po’ troppo? Nessun problema. All’Opec basta estrarre dal cilindro un nuovo rumor ed ecco che il prezzo torna a correre. La strategia ha funzionato anche ieri, grazie all’Iran che ha suggerito una maggiore disponibilità verso un accordo per congelare la produzione. Soltanto suggerito, si badi bene. E per di più attraverso dichiarazioni di fonti anonime. Ma tanto è bastato perché le quotazioni del barile invertissero la rotta: il Brent, che era in ribasso di oltre l’1% (e quasi il 5% da venerdì), ha virato al rialzo arrivando a guadagnare il 2% e riportandosi sopra 50 dollari.

Da Teheran non è arrivata una presa di posizione netta, capace di sciogliere i dubbi sull’esito degli incontri di fine settembre ad Algeri, ma solo «segnali positivi che potrebbe sostenere un’azione congiunta» per usare le parole della Reuters, indubbiamente scelte con cura e quasi certamente concordate con le fonti.

L’agenzia - che negli ultimi tempi è spesso depositaria di confidenze sulle mosse dell’Opec - scrive che l’Iran manderà una delegazione in Algeria: una svolta importante, se confermata, visto che aveva invece disertato il vertice di Doha ad aprile. Rispetto ad allora non sembra comunque aver stravolto la sua linea di pensiero.

«L’Iran raggiungerà presto i livelli produttivi di prima delle sanzioni, dopo di che potrà collaborare con gli altri» afferma una «fonte familiare col pensiero iraniano». La stessa aggiunge che «in generale l’Iran preferisce azioni da parte dell’Opec piuttosto che semplicemente congelare ai massimi livelli produttivi di tutti i membri». E ancora: «Se la questione del congelamento aiuta i prezzi a migliorare allora l’Iran darà aiuto con parole positive di sostegno». Teheran potrebbe insomma limitarsi ad applaudire all’iniziativa altrui, senza tuttavia prendervi parte. Esattamente come fece ai tempi di Doha, mandando su tutte le furie i sauditi che loro volta si tirarono indietro.

A complicare il quadro oggi c’è anche l’Iraq, che non è più schierato a favore di un congelamento della produzione. Al contrario. Proprio mentre l’Iran porgeva un ramoscello d’ulivo, Baghdad ha invece risposto all’esibizione di forza dell’Arabia Saudita, facendo sapere di essere in grado - come Riad - di spingere le estrazioni di greggio oltre gli attuali livelli record.

Tra le prime mosse del nuovo ministro iracheno del Petrolio Jabar Al Luaibi, insediatosi la scorsa settimana, è emerso che c’è stata una comunicazione alle compagnie straniere che operano nel paese, affinché accelerino produzione ed export di petrolio e gas. Lunedì Baghdad aveva comunicato un aumento a breve delle esportazioni di greggio di 150mila barili al giorno, ossia circa il 5%, grazie a un accordo con l’autonomia curda per ripredendere le spedizioni attraverso l’oleodotto Kirkuk-Ceyhan.

Nella serata di ieri anche il primo ministro iracheno Haider Al Abadi ha contribuito a spegnere le aspettative su un accordo per congelare la produzione di petrolio: «Non siamo aperti all’idea di un limite, perché stiamo tuttora producendo meno di quanto dovremmo».

L’Iraq ricopre un ruolo di primo piano nell’Opec ed è impensabile che il gruppo riesca a sottoscrivere un accordo senza la sua adesione: la sua produzione, intorno a 4,6 milioni di bg, è superata soltanto da quella saudita (che in luglio ha raggiunto ben 10,7 mbg) e l’anno scorso è stato in grado di accrescere l’output più di qualsiasi altro membro dell’Organizzazione. La caduta del prezzo del petrolio e l’impegno militare per la lotta all’Isis stanno tuttavia prosciugando le finanze dello Stato, mettendo a rischio la straordinaria rinascita della sua industria petrolifera.

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