Niente shock da referendum, poiché le Borse avevano già scontato lo scenario di vittoria del «No», ma il focus si è spostato sulla fase post Renzi e sulle mosse del presidente della Repubblica per arrivare alla formazione di un nuovo governo. La grande incognita è invece la ricapitalizzazione e il salvataggio di Banca Mps che sui listini resta volatile ma si è ripresa dal tonfo iniziale. Queste le valutazioni di gestori e analisti alla reazione dei mercati dopo l'esito del referendum costituzionale e l'annuncio delle dimissioni da parte del presidente del Consiglio Matteo Renzi che saranno formalizzate nel pomeriggio.
«Più chance per governo di transizione rispetto a elezioni anticipate»
Non c'è stata una grande sorpresa con la bocciatura delle riforme costituzionali nell'urna «ma a stupire è l'ampiezza del risultato - spiega Alberto Biolzi, responsabile advisory di Cassa Lombarda - Ora l'apprensione non è tanto per l'instabilità politica di brevissimo termine in Italia, ma per lo scenario di medio-lungo termine con il rischio di una fase di stallo prolungata».
Nel breve, fa notare Fabio Balboni, economista di Hsbc,«un governo tecnico di transizione potrebbe essere una opzione molto meno rischiosa rispetto all’incertezza di elezioni anticipate dato che queste ultime potrebbero portare qualche possibilità di avere un partito populista al potere. Dal punto di vista politico lo scenario temporaneo potrebbe non essere troppo diverso da quanto Renzi sarebbe stato comunque in grado di realizzare».
Gli investitori quindi, fanno capire gli operatori finanziari, dovrebbero assumere posizioni più precise solo una volta capito chi arriverà a Palazzo Chigi e con quale mandato: fino a quel momento ogni azzardo è bandito anche se la maggior parte degli osservatori sembra già dare per molto probabile l'arrivo di un esecutivo di transazione piuttosto che un ritorno alle urne.
Per Oxford Economics probabile un governo di larghe intese
Oxford Economics stima al 65% la probabilità della formazione di un nuovo governo. Potrebbe essere un esecutivo di larghe intese (tipo quello di Letta), quindi con il Pd, il Centro-destra ma esclusa la Lega (50% di probabilità), oppure un nuovo Governo con l'attuale maggioranza, ma un altro premier (25%) oppure un 'Renzi 2' (25%). La possibilità di nuove elezioni a inizio del 2017 viene, dunque, vista al 35% e anche in questo caso è ritenuto più probabile l'esito di un governo di ampie intese (60%), seguito da un governo di minoranza (25%), mentre sono viste solo al 5% ciascuna le possibilità di un Governo Pd, oppure 5 Stelle oppure di centro destra.
Rebus Monte dei Paschi, preferenza per titoli difensivi o business globali
L'incognita vera per gli operatori finanziari è la questione Mps visto che l'istituto senese è nel pieno di una delicata operazione di ricapitalizzazione per la quale è decisiva la disponibilità a investire di investitori internazionali: «Il rischio vero è il Monte dei Paschi di Siena - afferma Umberto Borghesi gestore del fondo Atlante Target Italy diAlbemarle Am - perché è facile pensare che gli investitori stranieri che stavano pensando a un intervento nell’aumento di capitale si tirino indietro, occorrerà quindi una risposta netta sia essa l’intervento pubblico, il ricorso al bail-in o altro. Anche se ci fosse un governo di transizione nessuna forza politica può assumersi la responsabilità di un fallimento per quanto riguarda il Monte dei Paschi». «La partita più complessa rimane quella sull'aumento di capitale di Mps» si allinea Intermonte aggiungendo che il comparto finanziario guarderà ora al meeting della Bce del prossimo 8 dicembre mentre sull'azionario si tenderà a mettere in stand-by i titoli del comparto puntando invece su titoli di società attive in business difensivi o maggiormente esposti verso mercati globali rispetto a quello domestico.
Per Mediobanca Sec puntare su società esposte in Usa e utilities
Puntare sui titoli delle società esposte verso gli Usa, su quelli delle utilities difensive e sulle small cap con bilanci solidi e orientate all'estero. E' invece «inevitabile una pressione delle vendite di breve termine sulle banche». Ad indicarlo è anche l'analisi di Mediobanca Securities sulle ripercussioni in Borsa della vittoria del No al referendum costituzionale e delle dimissioni di Renzi. Poiché l'esito del referendum contribuirà al rafforzamento del dollaro verso l'euro, il consiglio è di puntare sulle società esposte agli Usa con una bassa correlazione al ciclo, come i produttori di auto (Ferrari e Cnh), le industrie farmaceutiche (Diasorin), le aziende del lusso o dei beni di consumo come Ferragamo, Campari o Amplifon.
Un'altra opportunità viene dalle utilities difensive, dopo le recenti vendite: si tratta delle reti di distribuzione o trasporto di energia (come Snam e Italgas), oppure delle infrastrut ture di trasporto (Atlantia e Enav) o delle torri di trasmissione. Lo studio accende anche i riflettori sulle small caps, con un solido bilancio e una bassa esposizione alle dinamiche del mercato nazionale, quali Danieli, Prysmian, Ima e Buzzi. D'altro canto le dimissioni di Renzi comportano un rischio legato all'avvicinarsi del rinnovo del management (primavera 2017) per società quali Eni, Enel Enav, Poste, Leonardo e Terna. Sul fronte bancario,«l'instabilità politica è chiaramente un significativo catalizzatore negativo», visto che i tentativi delle banche italiane per risolvere il problema dei crediti deteriorati tramite recapitalizzazioni potrebbero essere ostacolati dal vuoto di potere che terrebbe lontani gli investitori internazionali. Non aiuta inoltre la temporanea sospensione della riforma delle popolari in un settore che ha un'urgente necessità di chiarezza.
Banche, per broker dopo il No è bivio tra bail in e intervento di Stato
Una vittoria netta del No nel referendum non era attesa e per questo neppure «prezzata» dalle quotazioni delle banche italiane. Lo afferma un report di Credit Suisse che sottolinea come l'esito delle urne potrebbe portare instabilità e ulteriore incertezze per il settore italiano del credito. «Negli ultimi tre mesi quest'ultimo in Borsa ha fatto peggio del 13% rispetto alla media Ue; inoltre le banche italiane sono a sconto rispetto a quelle continentali - sottolinea la banca d'affari - ma un'ampia vittoria del no non è stata ancora scontata dalla Borsa».
In più, aggiungono, «Unicredit si appresta ad annunciare un aumento da 10-13
miliardi, tra il 76 e il 100% dell'attuale capitalizzazione: un obiettivo già di per sè non facile che l'attuale incertezza politica non aiuta». Secondo Credit Suisse, più in generale, i nostri istituti attualmente hanno a che fare con vari nodi: ricapitalizzazioni, alti stock di Npl, bassa profittabilità, cambio del modello di business, consolidamento e ristrutturazioni. Un eventuale scenario di elezioni anticipate potrebbe generare rischi di potenziali bail in, di un aumento del rischio a livello sistemico e di un incremento dei costi di finanziamento a seguito di possibili declassamenti da parte delle agenzie di rating.
In ogni caso, secondo i broker internazionali, il bivio tra la procedura di bail-in e l'intervento pubblico per salvare le banche italiane in difficoltà si fa più vicino dopo la caduta del governo Renzi. Nel caso in cui l'incertezza politica in Italia dovesse allontanare il piano A per il rafforzamento patrimoniale degli istituti di credito maggiormente a rischio, primo fra tutti il Monte dei Paschi, secondo la stessa Credit Suisse, sono tre le strade percorribili con il ricorso al bail-in ritenuto lo scenario «più probabile in quanto conforme alle regole attuali» ma anche il peggiore poiché «potrebbe aumentare i rischi di una corsa agli sportelli». L'approccio più flessibile, per gli analisti svizzeri, sarebbe invece quello contemplato dall'articolo 32 della Bank Recovery and Resolution Directive che prevede l'intervento pubblico in risposta a «una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro» e per «preservare la stabilità finanziaria»: questa opzione, che potrebbe scattare in caso di stress test o asset quality review con esito negativo per un istituto, è ritenuta però molto improbabile. Un'ultima strada «parzialmente flessibile» per Credit Suisse sarebbe concedere da parte delle autorità regolamentari di posporre le ricapitalizzazioni anche se questa ipotesi non sarebbe del tutto positiva in quanto non eliminerebbe l'incertezza pur riducendo i rischi immediati.
Per Goldman Sachs invece la via dell'intervento pubblico per Mps è in ascesa dopo l'esito del referendum costituzionale in Italia poiché cala la possibilità di un successo nella ricapitalizzazione attraverso il mercato anche se bisognerà attendere i dati ufficiali sulla conversione dei bond e l'esito delle trattative con i potenziali investitori istituzionali disponibili a entrare nella banca senese. Per gli analisti di Goldman, l'applicazione del "bail-in" data la sua controversia è meno probabile rispetto all'intervento pubblico che potrebbe invocare le eccezioni previste dall'articolo 32 della Brrd.
(Il Sole 24 Ore Radiocor Plus)
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