La vittoria secca del “no” apre una fase di incertezza politica che in Italia può mettere a rischio il settore da sempre più esposto alla speculazione finanziaria: le banche. Anzitutto il piano di salvataggio del Monte dei Paschi di Siena, perché potrebbero venire a mancare le condizioni di contesto necessarie a far funzionare il delicato gioco ad incastri studiato dal management assieme agli advisor Jp Morgan e Mediobanca (con la sponda di Palazzo Chigi), finalizzato al varo dell’aumento di capitale da 5 miliardi di euro. Ma tutto il settore potrebbe ritrovarsi sotto tiro, a partire da UniCredit a sua volta alle prese con una revisione strategica con maxi-aumento.
Il primo responso sarà sul piano Mps. In questo caso tutto, o quasi, dipende dalla reazione dei mercati. Dunque il quadro si farà più chiaro oggi, quando daranno il loro giudizio sul voto. Un’ondata generalizzata di vendite, sommata all’incertezza del quadro politico potrebbe essere usata dagli anchor investor invitati a entrare nel capitale di Siena come motivazione per chiamarsi fuori dall’operazione; e senza gli anchor investor potrebbe, a cascata, venir meno anche la garanzia delle banche d’affari, impedendo così di proseguire nel percorso che si era avviato la settimana scorsa con oltre un miliardo messo sul tavolo dagli obbligazionisti subordinati.
Ma è lo scenario peggiore. I nodi si scioglieranno in giornata, una giornata intensa che inizierà alle 8 con una prima riunione a Piazzetta Cuccia, dove i vertici del Monte, insieme a Mediobanca, Jp Morgan e le altre banche del consorzio di garanzia faranno il punto prima di riavviare il recall con gli investitori incontrati nell’ultimo mese.
Per quanto riguarda il ruolo degli anchor investor, cioè di nuovi azionisti di riferimento, si guarda in particolare al fondo sovrano di Doha, la Qatar investment authority, che si era candidato a mettere sul piatto fino a un miliardo di euro. Accanto alla Qia, che è supportata dagli advisor Rothschild e Freshfields, ci sarebbe una manciata di hedge fund americani, che nelle scorse settimane si erano detti pronti a salire a bordo solo a fronte di un quadro politico sereno: si parla di soggetti come Paulson e Soros e, a quanto risulta a Il Sole 24 Ore, il fondo newyorchese Hoplite Capital Management. A ognuno la banca avrebbe proposto di entrare con investimenti che si aggirerebbero tra i 200 e 300 milioni ciascuno. Nel complesso, secondo il piano originario, agli investitori di peso sarebbero potuti andare quindi circa 1,5-2 miliardi di nuovo capitale.
Ma a questo punto il condizionale è quanto mai d’obbligo: la risposta del Qatar e dei fondi Usa, in un caso o nell’altro, arriverà oggi. Certo che qualora venisse meno il loro intervento, come in un effetto domino a cadere sarebbero anche le altre gambe del progetto di ricapitalizzazione. In primis, verrebbe meno il supporto della rete di protezione del consorzio delle banche d’affari, il cui accordo di pre-garanzia sull’inoptato è stato subordinato alla partecipazione degli stessi investitori di peso e a una condizione “soddisfacente” dello scenario politico e dall’andamento dei listini. E a bloccarsi, in ultima battuta, sarebbe anche l’ultimo tassello, ovvero il via libera alla cartolarizzazione da 27 miliardi di Npl, processo a cui manca solo la firma definitiva del fondo Atlante per partire.
In caso di fallimento del piano «andremo in Bce e valuteremo cosa fare con la Vigilanza», aveva detto il ceo Marco Morelli dieci giorni fa davanti ai soci in assemblea: la palla, inevitabilmente, è destinata a finire sul tavolo del Governo (si veda la pagina qui a fianco) mentre quel che è certo è che decadrebbe il processo di conversione volontaria dei bond subordinati, di cui oggi si dovrebbero avere i risultati definitivi (che si dovrebbero attestare a 1,05 miliardi). Digerita la reazione dei mercati, sondati gli investitori, acclarato se la garanzia del consorzio ci sia o no, domattina a Siena il cda del Monte deciderà se e come procedere.
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