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Petrolio, export Usa da primato ma l’Opec non ha perso la partita

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Petrolio, export Usa da primato ma l’Opec non ha perso la partita

(Reuters)
(Reuters)

Gli Stati Uniti hanno esportato 1,2 milioni di barili di petrolio al giorno la settimana scorsa, più dell’Algeria o dell’Azerbaijan. E le estrazioni sono tornate a 9 milioni di barili al giorno, il massimo da aprile dell’anno scorso. Messa così sembra davvero la rivincita dello shale oil nei confronti dell’Opec. Oltre Oceano anche le trivelle continuano a moltiplicarsi (+5 secondo le statistiche diffuse ieri da Baker Hughes), promettendo ulteriori aumenti di produzione e un assalto sempre più aggressivo ai mercati internazionali, anche in regioni tradizionalmente servite dall’Arabia Saudita e dalle altre potenze petrolifere del Medio Oriente: con noli e differenziali di prezzo convenienti, il greggio «made in Usa» sempre più spesso fa rotta verso l’Asia.

Nonostante tutto le quotazioni del barile non stanno soffrendo: giovedì il Wti ha chiuso ai massimi da quasi due anni (54,45 $) e rimane intorno a 54 $, anche dopo la correzione di ieri. La volatilità si è molto ridotta dall’inizio dell’anno e gli hedge funds sono convintamente rialzisti, con un’esposizione netta lunga da primato.

Il mercato è impazzito? Forse no. Anche se la speculazione si fa spesso guidare da parametri estranei ai fondamentali del petrolio, alcuni analisti invitano a dare uno sguardo più approfondito a quanto sta succedendo ed evidenziano chiari segnali secondo cui l’Opec non avrebbe affatto perso la partita. Al contrario.

Tagliando la produzione di greggio di 1,8 mbg insieme alla Russia e ad altri alleati (obiettivo raggiunto all’86%, secondo Kuna, l’agenzia di stampa ufficiale del Kuwait), l’Opec si proponeva come primo obiettivo quello di abbassare il livello delle scorte. E queste avrebbero in effetti cominciato a ridursi. Persino negli Usa, dove le statistiche mostrano tuttora giacenze da record, gli stoccaggi più costosi hanno iniziato a svuotarsi e le forti esportazioni di greggio dovrebbero contribuire all’opera (anche dal Mare del Nord peraltro le spedizioni di greggio verso l’Asia si sono impennate, a un record di oltre 10 mbg in gennaio).

Le scorte a bordo di petroliere nel Golfo del Messico, secondo monitoraggi di ClipperData, sono calate a 26 mb dai 35 mb di appena un mese fa. E lo stesso fenomeno è visibile anche in Asia: in base a dati Thomson Reuters, in febbraio 8,6 mb di greggio sono usciti dai cosiddetti stoccaggi galleggianti in Malaysia, insieme ad altri 4,1 mb a Singapore e a 1,2 mb in Indonesia.

Il motivo è nella struttura del mercato. Il prezzo del petrolio di cui si parla di solito, quello a pronti, in effetti si è mosso poco ultimamente. Ma il contango – ossia il premio delle scadenze lontane dei future rispetto a quelle vicine - si è quasi cancellato, eliminando l’incentivo a stoccare barili.

Il mercato sembra ormai indirizzato verso la situazione opposta di backwardation: questa è già presente in alcuni tratti della curva. E lo spostamento è iniziato proprio con l’annuncio dei tagli Opec.

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