Gli speculatori, mai così rialzisti sul petrolio, potrebbero dare un nuovo e insperato aiuto all’Opec la settimana prossima, accelerando lo spostamento della curva del Brent verso una struttura che incoraggia lo smaltimento delle scorte. Il “regalo” è in arrivo dall’S&P Gsci Enhanced Commodity Index, un indice molto seguito dagli investitori, che nelle cinque sedute tra il 1° e il 7 marzo sposterà una massa di denaro stimata da Reuters in 2 miliardi di dollari dal Brent con scadenza dicembre a quello per giugno: una migrazione che potrebbe favorire lo sviluppo di una backwardation, ossia quella situazione in cui il greggio per consegna vicina costa più di quello a futuri.
L’operazione, mirata ad ottimizzare i rendimenti, è prevista dalla metodologia dell’indice, che la prescrive ogni qual volta la differenza di prezzo tra i future a due mesi e a tre mesi supera lo 0,5%. Nel caso del Brent questo è successo, per la prima volta da sei anni, venerdì scorso, quando il Brent di maggio ha chiuso a 56,31 $ e quello di giugno a 56,55 $. dicembre ha chiuso a valeva .
A questo punto non si scappa. Nelle prime cinque sedute del prossimo mese S&P – e tutti gli operatori con prodotti indicizzati – dovranno agire: vendere Brent dicembre e comprare Brent giugno, con un impatto che si stima riguarderà 35-45mila contratti da 1.000 barili ciascuno.
La regola non è ancora scattata per il Wti. Ma entrambi i benchmark sono da mesi nel mirino degli speculatori, che scommettono in modo sempre più aggressivo sul rally del petrolio, senza curarsi del ritorno in forze della produzione Usa – appena risalita a 9 milioni di barili al giorno, il massimo da aprile – né del livello tuttora elevato delle scorte petrolifere.
La settimana scorsa la posta in gioco è salita ancora. La posizione netta lunga (all’acquisto) degli hedge funds è da primato sia per il Brent che il Wti e nel complesso, tra future e opzioni, ha raggiunto l’equivalente di 951 milioni di barili, circa dieci volte i consumi giornalieri mondiali (e un valore nozionale di circa 52 miliardi di dollari).
Con un rapporto di 10,3:1 tra scommesse rialziste e scommesse ribassiste tra i fondi, il rischio di una brusca inversione di rotta del mercato è altissimo.
Finora il prezzo del petrolio si è mosso poco, perché agli acquisti dei “money manager” è corrisposto un adeguato volume di vendite, in primo luogo da parte degli operatori commerciali, spesso impegnati in operazioni di hedging. Ma cosa succederebbe se i fondi iniziassero a liquidare?
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