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Wall Street «misura» la credibilità di Trump dopo la resa sulla…

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Wall Street «misura» la credibilità di Trump dopo la resa sulla sanità

E adesso: cosa accadrà a Wall Street dopo la sconfitta di Donald Trump sulla riforma sanitaria? La domanda se la sono posti in tanti. E in tanti hanno dato differenti risposte. Il che non stupisce. In un’era dove i mercati, nonostante la recente ulteriore stretta sul costo del denaro della Fed, sono ancora drogati di «monetadone» il semplice nesso causa-effetto conta poco. Le correlazioni, gli approcci quantitativi, il sostegno dei buyback aziendali possono mantenere al rialzo (o al ribasso) i listini anche a fronte di eventi negativi (o positivi).

L’agenda di Trump...
Un esempio è utile per capire. Molti operatori hanno sottolineato come il recente rally di Wall Street fosse intimamente legato alle prospettive della «Trumpenomics». Il taglio delle tasse sugli utili aziendali, gli investimenti infrastrutturali, la deregulation sul mondo delle banche sono tutti elementi che, è l’indicazione, hanno invogliato ad investire nel capitale di rischio statunitense. Sennonchè le promesse, prima o poi, devono tradursi in realtà. Tanto che proprio il passaggio per l’abolizione dell’Obamacare era considerato cruciale. Ebbene: venerdì, subito dopo il ritiro della riforma, Wall Street ha sì chiuso la seduta al ribasso ma di certo non è tracollata. Gli esperti, allora, si sono uniti nel cantare in coro il leit motiv: «adesso, finalmente, l’attenzione della Casa Bianca sarà tutta sulla cosa che conta. Cioè, il taglio delle tasse». Insomma: prima si è dato importanza ad un determinato evento; poi, nel momento in cui non si è concretizzato, l’attenzione è stata spostata su un altro tema. Il vero tema: la riduzione delle imposte sugli utili aziendali. Il resto? Poco rilevante. Non così determinante.

...una scusa per il mercato
Si tratta di un meccanismo che mostra, se ancora ce ne fosse bisogno, come gli accadimenti siano il pretesto per giustificare le strategie. Vale a dire: l’enorme liquidità ancora in circolazione, a fronte dei bassi tassi (soprattutto in Europa) , è andata in cerca di rendimento. In un simile contesto non è parso vero agli operatori di trovarsi un neo Presidente Usa che prometteva mari e monti. E, anche, di più. L’effetto? Molti denari sono finiti sull’azionario statunitense. Una corsa al rialzo che però, essendo in grande parte auto-alimentata, richiede di essere continuamente sostenuta dalla narrazione della «Trumpenomics». Di qui il veloce cambio di passo. Oplà! L’eliminazione dell’Obamacare conta poco. Il vero tema è la riforma fiscale.

I due problemi
Al che, però, sorge il dubbio. Ammesso, e non concesso, che il taglio delle tasse (oltre al progetto di investimenti sulle infrastrutture) sia uno dei veri motori della «Trumpenomics» il passo falso di venerdì pone due problemi. Il primo riguarda la capacità dell’ex presentatore di «The apprentice» di fare squadra, di riuscire a creare consenso su di sè nel Congresso. Cioè: la mancata abolizione dell’Obamacare, per alcuni comunque destinato ad implodere, potrebbe essere l’indizio di un Trump che non riesce a portare a casa le riforme. Oggi quella sanitaria. Domani quella fiscale.

Il secondo, invece, è conseguente proprio alla mancata eliminazione dell’Obamacare. I risparmi legati all’operazione (secondo alcune fonti 500 miliardi di dollari nel corso degli anni) sarebbero stati usati per controbilanciare il taglio fiscale. E, quindi, renderne più facile l’approvazione. Adesso questo «supporto» sembra sparire. Il che, inevitabilmente, rende contabilmente più ardua l’intera operazione.

A fronte di simili considerazioni, quali allora le possibili reazioni dei mercati? Dapprima deve ricordarsi che, nella settimana appena conclusa, l’S&P 500 ha ceduto l’1,44%. Vale a dire: il nervosismo sui mercati per l’appuntamenti di venerdì c’era. Ciò detto diversi esperti si aspettano, in apertura delle contrattazioni di lunedì, ulteriore volatilità e debolezza. Che proseguirà nel medio periodo? No, se si dà a retta a coloro che considerano la sconfitta di venerdì un semplice inciampo. Sì, se si dà retta a coloro che lo valutano come il primo segnale della mancanza di vera leadership da parte di Trump.

Wall Street è sopravvalutata
Al di là di simili considerazioni deve, comunque, ricordarsi che la Borsa Usa è sopravvalutata. Diversi esperti hanno più volte messo in allarme sul rischio della bolla. Il P/e di Shiller, calcolato sugli utili dell'S&P 500 di un decennio per eliminare l’effetto del ciclo economico, viaggia attualmente intorno a 29,3. Vale a dire un livello del 75,4% più in alto della sua media storica. Non solo: la capitalizzazione totale delle Borse Usa è il 129,31% del Pil americano. Una percentuale che, secondo i calcoli di Gurufocus.com, indica la forte sopravvalutazione dei listini.

L’euforia irrazionale
Insomma: le Borse rischiano la bolla. E, però, nessuno vuole sentire parlare di ritracciamento dei corsi azionari. «È in atto la grande rotazione», ripetono in coro molti esperti. A fronte del ritorno dell’inflazione, oltre che del secondo rialzo dei tassi da parte della Fed, gli operatori abbandonano le obbligazioni per abbracciare le azioni a stelle e strisce. E poi, magari, quelle europee. Non c’è alcuna euforia irrazionale. Sarà! Per intanto può notarsi una cosa. Nei primi giorni della presidenza di Trump il Russel 2000, cioè il paniere delle società Usa a media capitalizzazione e con business più locali, aveva sovraperformatol'S&P 500. Un effetto, si era detto, del focus di Washington sull’economia domestica. Oggi, però, le 2000 società a media e minore capitalizzazione da inizio anno perdono oltre 2%. Un paradosso. O forse...l’indizio dell’euforia irrazionale.

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