Massimizzare la gestione interna, evitare le svendite: la logica di fondo è quella sperimentata negli ultimi tre anni dall’Asset light bank. A cambiare, nei piani di Intesa Sanpaolo, dovranno essere la velocità di marcia e l’ammontare dei crediti deteriorati smaltiti. Che, di qui al 2019, potrebbero essere oltre 15 miliardi, considerando il perimetro attuale degli Npl di gruppo (al netto di nuovi ingressi e ritorni in bonis) e, soprattutto, l’obiettivo già annunciato da Carlo Messina: portare dall’attuale 14,7% al 10,5% la quota dei deteriorati lordi sullo stock degli impieghi.
Sarebbero questi gli elementi chiave del nuovo piano sui non performing loans del gruppo. Un documento di tipo quantitativo, chiamato Asset strategy template, che deve contenere l’indicazione formale delle quantità e i portafogli di Npl da cedere nel corso del tempo. Atteso dalla Bce entro fine mese, il dossier finirà martedì sul tavolo del cda presieduto da Gian Maria Gros-Pietro. Una riunione convocata ad hoc, secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore, che testimonia l’importanza della materia. Il nodo è cruciale per tutte le banche europee con un Npe ratio superiore alla media (a cui Bce ha chiesto di inviare i propri piani), ma per Intesa Sanpaolo ha una valenza in più visto che si sta preparando a varare il nuovo piano d’impresa: la strategia sugli Npl sarà una delle colonne portanti, considerato l’impatto sull’ultima riga di bilancio.
Le premesse del nuovo piano sono nel bilancio 2016, che si è chiuso con il flusso lordo di crediti deteriorati da quelli in bonis più basso di sempre (3,1 miliardi netti), ciononostante accompagnato da rettifiche superiori al 2015 (3,7 miliardi) con una copertura media salita al 48,8%. Qui si innesterà il piano, con l’obiettivo di ridurre al massimo gli impatti sul conto economico. «Abbiamo deciso di non garantire rendimenti del 20% a fondi tramite la cessione», ha detto ancora la settimana scorsa Messina, e la filosofia sarà recepita nel nuovo piano, con ricadute che possono diventare importanti: considerato un perimetro potenziale di riduzione di circa 15 miliardi, ogni punto percentuale di valore tenuto in casa equivale a 150 milioni di svalutazioni in meno, e quindi di utili in più a valere sui prossimi tre bilanci. Di qui, appunto, la massimizzazione della gestione interna: 200 milioni di investimenti sulle infrastrutture tecnologiche, incentivi per i dipendenti più efficienti nel recupero, clusterizzazione più marcata, rafforzamento della Reoco, chiamata a intervenire in asta per scongiurare la cessione a prezzi stracciati di immobili in garanzia. Prevista anche una vera e propria restructuring farm per le posizioni deteriorate più consistenti, una sorta di unità speciale in cui verranno utilizzate tutte le competenze della banca per estrarre il maggior valore possibile. Un mix di azioni con cui la banca, nella logica di Messina, intende trattenere lo sconto che i fondi pretendono sul mercato, composto mediamente per 6-7 punti dal rendimento promesso agi investitori, per 3-4 punti dalla qualità delle informazioni (che fanno capo al creditore) e altrettanto per i tempi della giustizia, che la banca cercherà di comprimere esercitando maggiore pressione sulle attività dei legali.
Sta di fatto che tutto ciò che non sarà gestito internamente o riportato in bonis verrà comunque ceduto. Il piano dovrebbe prevedere un cronoprogramma di massima, di cui alcuni step sono già noti: una prima operazione, anticipata nelle scorse settimane dal Sole 24 Ore, ha visto la cessione a Credito Fondiario di ottomila contratti non perfoming di leasing facenti capo a Provis, ora a giorni si prevede il closing della cessione dei 2,2 miliardi lordi - secured e unsecured - alla trattativa finale con Cerberus, Apollo e la cordata formata da Crc e Bayview; in settimana, poi,dalle anticipazioni di Radiocor è emersa un’altra operazione in cantiere, nome in codice Monopoli, che prevede il conferimento di crediti immobiliari del valore di oltre un miliardo di euro a una piattaforma in cui la banca resterà socia insieme ad altri partner specializzati (nel portafoglio, ancora in via di definizione, dovrebbero entrare circa 75 asset). In parte si tratta di non performing loans secured, ovvero con sottostante garanzia immobiliare, e in parte di progetti immobiliari da rilanciare.
L’asset strategy template sarà inviato in Bce per una visione e un’approvazione. Non è chiaro se dovrà essere subito comunicato al mercato, ma è chiaro che i suoi contenuti generali saranno resi noti in occasione della presentazione del piano industriale. Al template seguirà nelle prossime settimane l’invio di un documento più qualitativo, chiamato Operational plan, in cui verrà definito l’approccio dettagliato allo smaltimento e le modalità che Intesa, al pari delle altre banche italiane, intende seguire.
Il tema degli Npl rimane del resto in cima alla lista delle preoccupazioni di Francoforte. Come spiegato in settimana dal membro del Consiglio dell’Ssm, Ignazio Angeloni, che è intervenuto a un convegno organizzato a Milano dall’Università Bocconi, i volumi di crediti deteriorati nell’Eurozona «sono molto elevati: in termini lordi ammontano a circa 900 miliardi, ossia il 6,6% delle esposizioni totali, mentre al netto degli accantonamenti sono pari al 3,6%». Il trend, tuttavia, segnala una correzione. Di recente «si è osservato un modesto miglioramento: le consistenze di Npl sono scese di 66 miliardi di euro». Un buon motivo per accelerare sui tempi dello smaltimento.
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