Mario Draghi non cede. Il presidente della Banca centrale europea ha confermato a una platea di economisti, investitori e analisti dei mercati finanziari a Francoforte che lo stimolo monetario rimarrà invariato nei prossimi mesi, sia negli acquisti di titoli, il Qe, sia nei tassi d'interesse, sia nelle indicazioni prospettiche, la “forward guidance” fornita dal consiglio. In questo modo, il banchiere centrale punta a mettere a tacere le interpretazioni sorte sui mercati dopo diversi interventi di membri del consiglio direttivo, non tutti univoci. “Un cambiamento nella nostra valutazione della politica monetaria non è giustificato in questo momento”, ha dichiarato all'annuale conferenza degli “Ecb Watchers” a Francoforte.
La politica monetaria della Bce, ha detto Draghi, “sta funzionando ed è stata un fattore chiave della resilienza dell'economia dell'area euro negli ultimi anni. La ripresa sta progredendo e ora sta acquistando impulso, anche se i rischi restano al ribasso”: ancora una volta, il presidente dell'istituto di Francoforte ha richiamato i rischi geopolitici. Tuttavia, ha affermato il capo della Bce, “nonostante questi miglioramenti, la dinamica dell'inflazione continua a dipendere dalla prosecuzione della nostra politica monetaria attuale, una posizione determinata dall'interazione fra i tre principali strumenti: i tassi, gli acquisti di titoli e la forward guidance su entrambi”. Draghi ha ribadito anche che, alla fine, la rimozione dello stimolo avverrà nella sequenza indicata dal consiglio: prima la fine del Qe, poi il rialzo dei tassi. È su questo punto che erano sorti i maggiori dubbi sui mercati nelle ultime settimane.
“Non siamo ancora al punto in cui la dinamica dell'inflazione può sostenersi da sola senza il sostegno della politica monetaria”, ha affermato Draghi, ricordando che il rialzo dell'1,4% fra novembre e febbraio (quando ha toccato il picco del 2%, prima di ridiscendere all'1,5% a marzo) è stato dovuto per il 90% all'aumento del prezzo del petrolio. Ma il banchiere centrale italiano ha anche sottolineato che la misura dell'inflazione di fondo, depurata dei prezzi del petrolio e degli alimentari ristagna attorno allo 0,9% da metà 2013 (a marzo è scesa allo 0,7%). Manca per ora ogni spinta dalla componente salariale, ha osservato Draghi, nonostante l'occupazione sia migliorata, prima in Germania, poi in Spagna, e ora anche in Italia, Irlanda e Portogallo. La disoccupazione infatti resta alta.
Draghi ha anche lamentato che la politica fiscale, anche se non ostacola più la crescita come negli anni passati, non fornisce alcuna spinta all'espansione, mentre le riforme strutturali sono state poche, soprattutto nell'area delle liberalizzazioni dei mercati dei prodotti e delle condizioni per esercitare l'attività d'impresa, che hanno un maggiore impatto sulla spesa.
Ancora una volta, il presidente della Bce ha respinto le critiche ai tassi d'interesse negativi sui depositi delle banche presso la Bce stessa, critiche soprattutto dall'establishment finanziario tedesco e del settore bancario in genere. Hanno avuto un effetto potente nel migliorare le condizioni finanziarie, ha detto Draghi, e gli effetti collaterali negativi sono stati per ora limitati. E ancora una volta ha sottolineato la necessità di risolvere l'eredità della crisi degli anni scorsi, in particolare l'alto livello dei crediti deteriorati nei bilanci delle banche in alcuni Paesi, problema particolarmente acuto anche in Italia.
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