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Mercati, così gli speculatori guadagnano sul debito (presente e…

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titoli di stato sotto pressione

Mercati, così gli speculatori guadagnano sul debito (presente e futuro) dell’Italia

Non c’è solo lo spread (che peraltro è risalito a 250 punti, il doppio di un mese fa). Per misurare l’appeal del debito italiano agli occhi degli investitori gli esperti osservano con attenzione anche l’andamento delle richieste di prestiti sui titoli di Stato. Più la domanda cresce più vuol dire che i “mercati” si aspettano un ribasso futuro delle quotazioni dei BTp (e un conseguente rialzo dei tassi che si muovono in direzione opposta ai prezzi). Questo perché i prestiti vengono chiesti da chi ha intenzione di vendere allo scoperto (o lo ha già fatto) e prevede di riacquistare gli stessi titoli successivamente a un prezzo più basso. Lucrando tra la differenza tra prezzo di vendita (allo scoperto) e acquisto (successivo), al netto degli interessi sul prestito.Una strategia adottata in particolare dai fondi hedge che a differenza di altri fondi di investimento hanno la possibilità di scommettere short (al ribasso).

Bene, stando agli ultimi dati elaborati da Ihs Markit la domanda di prestiti di titoli di Stato italiani è salita tra aprile e maggio di quasi un miliardo di dollari (959 milioni). Questo dato si somma all’incremento di 7 miliardi registrato nel primo trimestre 2018 in un momento di ampio declino della domanda su altri governativi europei.Nel complesso siamo oltre quota 30 miliardi. Per rivedere questo numero bisogna tornare a 10 anni fa. Ciò vuol dire, in prima battuta, che lo scetticismo degli operatori sui titoli di Stato c’era già prima dell’insediamento del nuovo governo giallo-verde Lega-M5.

CRESCE LA DOMANDA DI PRESTITI DI BTP
In milioni di dollari (Fonte: IHS, Markit)

Vale la pena di segnalare un altro dato, al fine di inquadrare più in profondità il sentiment degli operatori. Circa il 10% dei governativi italiani dati in prestito è sulla scadenza decennale: ciò segnala la convinzione che gli hedge fund stanno puntando su un incremento futuro della spesa a deficit da parte del nuovo esecutivo. Il focus in questo momento quindi non è tanto se l’Italia esca o no dall’euro (le probabilità di un evento del genere sono date oggi, stando all’indice Sentix euro break-up Italy, all’11% mentre per la Grecia del primo “aggressivo” Tsipras nel 2015 erano salite al 50%).

L’interesse degli investitori è sul deficit e sul tema delle coperture. Il quadro da questo punto di vista è peggiorato nelle ultime 48 ore: il premier Giuseppe Conte ha ottenuto la fiducia al Senato e alla Camera ma nel discorso di insediamento non ha fatto riferimento a numeri (quanto deficit?) e alle fonti (dove troverà i fondi necessari per stimolare un programma politicamente molto espansivo?). Questa è al momento la principale preoccupazione degli investitori lato Italia. Per attuare le riforme annunciate il governo in fondo ha poche vie: dovrà aumentare il disavanzo o elaborare scorciatoie creative come la moneta fiscale. Ma in entrambi i casi il “nein” che arriverebbe dall’Europa - salvo una nuova implementazione di regole e trattati - pare scontato. In attesa di chiarimenti gli investitori stanno iniziando a metabolizzare uno scenario di incertezza e quindi vendono la carta italiana (anche allo scoperto come dimostrano indirettamente gli ultimi dati sull’aumento dei prestiti di BTp). Ieri i tassi dei titoli a 2 anni sono balzati all’1,33% (oltre 30 punti base in più in una sola giornata) e i decennali si sono riavvicinati al 3% (2,94%) con un aumento di 20 basis point intraday. Lo scatto più ampio della parte breve della curva è di per sé un ulteriore elemento di stress, perché in qualsiasi libro di economia (ortodosso o meno) c’è scritto che se la curva si appiattisce gli investitori si aspettano un rallentamento della crescita e se addirittura si inverte (come accaduto per qualche minuto a fine maggio) vuol dire che i mercati si aspettano una recessione o qualcosa di peggio.

Al momento tra i titoli a 2 anni e quelli a 10 la distanza è ancora rassicurante: 160 punti. Lo è certamente meno il fatto che i rendimenti dei titoli italiani ormai siano sugli stessi livelli di quelli statunitensi, a fronte di livelli di inflazione molto distanti (1,1% in Italia e 2,5% negli Usa). Così come è poco rassicurante che in questo momento, esclusa la carta greca che paga il 4,5% a 10 anni (senza però poter beneficiare degli acquisti della Bce attraverso il programma Qe) i BTp pagano i tassi più alti (e per certi versi più golosi) dell’area euro.

La sensazione è che fino a quando il governo non sarà più esplicito su quanto deficit ha in mente e su come intende reperire le risorse, i rendimenti dei BTp potrebbero continuare a salire. Di sicuro ai fondi hedge poco importa. Quelli bravi ci guadagnano (allo scoperto) comunque.

twitter.com/vitolops

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