La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina entra ancora più nel vivo, con l'ultimo botta e risposta tra Washington e Pechino. Trump minaccia dazi del 10% su prodotti cinesi per un valore di 200 miliardi di dollari, destinati a salire a 400 in caso di rivalse da Pechino. La controparte cinese non si fa attendere, con l'annuncio di tariffe capaci di colpire merce Usa per 50 miliardi di dollari. La diplomazia si è accorta da mesi dall’escalation, con l'Unione europea e altri partner storici alla ricerca di un dialogo con «The Donald». I mercati come hanno reagito? Per ora, male.
Wall Street ha viaggiato per tutta la seduta di martedì in rosso, spinta al ribasso dai cali dei suoi principali listini (il Dow è arrivato a perdere oltre 300 punti, l'S&p 500 intorno allo 0,80%, il Nasdaq quasi l’1%). Già nella mattinata si erano registrate le avvisaglie di un terremoto, con lo yuan (la valuta cinese) ai minimi da cinque mesi, l'indice giapponese Nikkei giù dell'1,8% e altre valute sotto pressione, incluso il d0llaro australiano e il rand sudafricano, in discesa del 3,2% negli ultimi due giorni.
Le reazioni degli investitori: prevale la «linea difensiva»
Ora per gli investitori si apre una fase più «tattica», secondo la definizione dell'agenzia statunitense Bloomberg: capire come comportarsi in uno scenario di conflittualità aperta delle politiche commerciali, esplose dopo un inizio d'anno che sembrava marciare nella direzione di una crescita omogenea. Per dirla con le parole del manager citato dai media Usa, « siamo passati da un gioco cooperativo a un gioco comparativo». Tra fondi e gestori, la linea più condivisa è all'insegna della prudenza. Nel senso di orientarsi su beni rifugio e titoli anticiclici, evitando i settori dove i dissidi commerciali rischiano di appesantire il conto economico. Sul mercato valutario gli acquisti stanno premiando le due monete“sicure” per eccellenza come franco svizzero (che si sta apprezzando dello 0,6% sull'euro) e in particolare yen (oggi salito dello 0,7% sul dollaro).
Come fanno notare da Shinkin Asset Management, un fondo interpellato dall'agenzia Bloomberg, si annuncia un trend di acquisti sulla valuta nipponica «come avversione al rischio» che sta facendo andare in fibrillazione i listini.
Esther Baroudy, gestore di State Street Global Advisors, spiega al Sole 24 Ore che il rischio di un'escalation sull'asse Usa-Europa-Asia sta «danneggiando i titoli indiscriminatamente», mettendo sotto pressione anche il mercato delle materie prime: il clima di neoprotezionismo rallenta il commercio e fa salire il prezzo delle commodity, a sfavore dei paesi che dipendono di più dalle esportazioni. Inclusa la Germania, dove l'export incide per il 47% del Pil: la fragilità della «locomotiva d'Europa» si riverberano sul resto del Vecchio Continente, rendendo sempre meno sicuri investimenti sui paesi della zona euro. Baroudy fa notare che gli investitori stanno riparando su «lidi sicuri» come il dollaro e i titoli di Stato del governo degli Stati Uniti. E c'è di più: «Gli incentivi fiscali e le sforbiciate alla corporate tax - dice Baroudy - potrebbero incoraggiare alcune aziende europee a muovere i loro nuovi investimenti negli Usa».
Come reagirà la Cina?
Un altro tema che preoccupa sono le «misure ritorsive» della Cina, ben oltre la risposta immediata in termini di dazi. In fondo, fanno notare dalla società di risparmio gestito Schroders, la Repubblica popolare importa merce dagli Usa per “soli” 130 miliardi di euro, contro gli oltre 500 miliardi di dollari esportati. Secondo l'analisi di Craig Botham, Emerging Markets Economist, la «vendetta» cinese potrebbe consumarsi per altre vie: vendita massiccia di titoli del Tesoro Usa, con l'obiettivo di aumentare i rendimenti e quindi i costi dei prestiti concessi al governo americano; la svalutazione dello yuan, anche se al momento sembra un'ipotesi distante dalle intenzioni della Bank of China; improvvise strette regolatorie su settori sensibili per la produzione statunitense in Cina, tali da compromettere i conti di colossi che generano buoni ritorni sulla piazza. Ad esempio, ricorda Botham, «Apple genera in Cina il 20% delle sue vendite in Cina, Boeing e Nike il 14% e il 12% del loro fatturato». La soluzione più probabile fra le tre? In teoria dovrebbe regnare la prudenza, ma l'escalation di Trump è capace di stravolgere diversi equilibri. «Mano a mano che crescono i danni prodotti dai dazi di Trump, le possibilità di una risposta pesante dalla Cina aumentano - spiega - E la svalutazione della moneta potrebbe diventare una prospettiva su cui si speculerà parecchio».
L'Italia sarà penalizzata
L'analisi è simile a quello di Angelo Meda, responsabile azionario della Sim Banor: «Una riduzione del commercio globale ridurrebbe la crescita mondiale per i prossimi anni - dice - abbassando le stime di fatturato e di utili per i maggiori indici mondiali». Le conseguenze sono già visibili sui listini, a partire dal rallentamento del mercato obbligazionario, dove i rendimenti decennali sono ai minimi da inizio anno in Europa e Usa. «Se fosse questo lo scenario per i prossimi anni spiega - andrebbero preferiti i titoli difensivi e ad alto dividendo evitando finanziari e ciclici come auto e industriali». E a pagarne le conseguenze potremmo essere, indirettamente, anche noi. Come aggiunge Baroudy, «l'indice italiano, con un forte peso di titoli finanziari, potrebbe essere tra i più penalizzati».
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