Dall’Iri ad Autostrade, dal 1950 agli anni 2000 fino ai nostri giorni: date ed eventi hanno caratterizzato la storia delle autostrade italiane, il processo di privatizzazione e i rinnovi della
concessione di una rete strategica del Paese. Un processo lungo e non privo di polemiche sugli investimenti, i ritardi, le
tariffe.
Era il 1950, quasi 70 anni fa, quando per iniziativa dell'Iri, l’istituto per la Ricostruzione Industriale, nasceva la Società Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.a.
L'obiettivo era quello di partecipare, insieme ad altri grandi gruppi industriali, alla ricostruzione post bellica dell'Italia.
Alla prima Convenzione, del 1956, firmata tra Anas e Autostrade, per co-finanziare, costruire e gestire l'Autostrada del Sole tra Milano e Napoli, sono seguite una serie di altre convenzioni per delineare le arterie autostradali del Paese.
Risale al 1982 la costituzione, con l'aggregazione di altre società concessionarie autostradali, del Gruppo Autostrade. Ma l’anno che ha segnato il cambio di passo nella storia delle autostrade italiane è il 1999.
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Tutto cambia: l’Iri decide di privatizzare una serie di asset, tra cui la società delle autostrade e si passa dal pubblico al privato, vale a dire che la proprietà della rete resta dello Stato ma la gestione e la manutenzione, remunerate dalle tariffe, passano a società private .
E’ il momento in cui subentra con il 30 % un nucleo di azionisti privati, riuniti nella Società Schemaventotto Spa che fa capo alla famiglia Benetton e che rappresenta, ancora, attualmente il socio forte del gruppo. Il restante 70% è sul mercato. Come ricorda Giorgio Ragazzi, autore qualche anno fa del saggio “I signori delle autostrade (Il Mulino), Schemaventotto nel 1999 versa 2,5 miliardi per rilevare il 30% della società finanziando l’investimento per 1,3 miliardi con capitali di rischio e il resto a debito. Poi, forte di incassi da pedaggi (11 miliardi) cresciuti negli anni del 21% con l’aumento del traffico a fronte di investimenti più contenuti (il 16% di quanto previsto), Schemaventotto lancia l’opa totalitaria del 2003 destinata a portarle la consistente maggioranza di Autostrade (l’84%, quota poi successivamente ridotta) per 6,4 miliardi, tramite una società veicolo poi fusa con Autostrade.
Nel corso del 2003, per un nuovo assetto organizzativo, le attività in concessione vengono separate dalle attività non autostradali e nasce Autostrade per l’Italia, controllata al 100% da Autostrade S.p.A., quella che oggi si chiama Atlantia, holding di partecipazioni quotata alla Borsa di Milano. Poi arriveranno le autostrade all’estero, la diversificazione nel settore aeroportuale e il tormentato dossier delle nozze con il gruppo spagnolo Abertis . Ma più che la storia societaria è la storia delle concessioni ad alimentare da anni il dibattito tra chi punta il dito su regole troppo generose. A regolare il sistema della concessione che affida la gestione della rete ad Autostrade è la Convenzione del 1997 (IV Atto Aggiuntivo) tra la società ed Anas che allunga considerevolmente i tempi prevedendo l'estensione della concessione dal 2018 al 2038. Poi dieci anni di dibattito politico, istituzionale ed economico con i vari Governi che si sono succeduti.
Nel 2004 diviene efficace un'integrazione secondo cui Autostrade per l'Italia si deve impegnare in un ulteriore piano di potenziamento della rete ma è il 2006 a puntare ancora i riflettori del sistema della concessione. Siamo sotto il Governo Prodi e il ministro delle Infrastrutture è Antonio di Pietro che oltre a bocciare le nozze con Abertis , vuole rivedere il tema delle concessioni e avvia un confronto con le varie società autostradali per arrivare a un accordo sui correttivi da inserire nella convenzione.
La Convenzione Unica tra Anas ed Autostrade, quella in vigore oggi e richiamata ripetutamente in questi giorni, venne sottoscritta il 12 ottobre 2007 ma è nel 2008 , con il Governo Berlusconi, che diviene efficace per legge. L'ultimo capitolo, conclusosi ad aprile di quest'anno, riguarda la proroga di 4 anni della concessione ad Autostrade per l'Italia, fino quindi al 2042, dopo un'interlocuzione tra il ministro Graziano Delrio (governo Renzi) e la Commissione Ue con il via libera di Bruxelles all'estensione della concessione a fronte dello sblocco di investimenti per alte opere applicando incrementi tariffari calmierati.
(Il Sole 24 Ore Radiocor)
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