La Germania da un lato comincia ad assecondare gli Stati Uniti, al punto da agevolare la costruzione del suo primo rigassificatore pur di importare Gnl americano. Ma dall’altro alza il livello della sfida a Washington, rafforzando ulteriormente i legami con la Russia nel campo dell’energia, con una nuova alleanza che stavolta riguarda le batterie per l’auto elettrica. Protagonista è Basf, che ieri ha firmato un contratto con Norilsk Nickel, per garantire forniture di metalli a una grande fabbrica di catodi in Finlandia.
Il colosso tedesco, attraverso la controllata Wintershall, è anche azionista del consorzio che sta costruendo il Nord Stream 2, il raddoppio del gasdotto nel Mar Baltico che Washington vede come il fumo negli occhi perché aumenterebbe la dipendenza dell’Europa da Gazprom. Meno di un mese fa la stessa Basf aveva firmato un altro accordo con LetterOne, holding del miliardario russo Mikhail Fridman, per fondere le attività nel petrolio di Wintershall con quelle di Dea (che a sua volta le aveva comprate in gran parte da società tedesche: Rwe ed E.On). Il nuovo gruppo, Wintershall Dea, ambisce a quotarsi in Borsa entro due anni, forte di una produzione di 800mila barili al giorno.
Fridman per ora ha scampato il destino di molti altri oligarchi russi, finiti nella blacklist degli Usa. E anche Norilsk non è direttamente colpita da sanzioni. Tuttavia lo è uno dei suoi maggiori azionisti, Rusal, che ne possiede il 28%. Il gruppo dell’alluminio russo infatti non è ancora stato graziato dal dipartimento del Tesoro americano, anche se ha qualche speranza di farcela, se dimostrerà di aver reciso ogni legame con Oleg Deripaska.
Basf non sembra preoccuparsi delle sue relazioni pericolose, né del rischio di un ulteriore giro di vite contro la Russia da parte di Washington. Nuove sanzioni, che potrebbero colpire proprio il settore dell’energia, sono una prospettiva concreta e imminente secondo molti analisti, ma gli accordi con Norilsk, in discussione dall’anno scorso, sono stati firmati lo stesso: i russi forniranno nickel e cobalto per un impianto che ambisce a produrre materiali per batterie sufficienti entro il 2020 ad alimentare 300mila veicoli eletrici plug in l’anno.
Lo stabilimento potrebbe aspirare a ottenere finanziamenti e agevolazioni dall’Unione europea, che nei giorni scorsi ha promesso di sostenere lo sviluppo del settore per attenuare la dipendenza dalla Cina. Ma Bruxelles potrebbe non gradire che la diversificazione avvenga proprio grazie alla Russia. E la Casa Bianca potrebbe farle da sponda.
Per ironia della sorte l’annuncio dell’accordo Basf-Norilsk è arrivato proprio mentre il Wall Street Journal pubblicava indiscrezioni secondo cui la cancelliera Angela Merkel si sarebbe (parzialmente) arresa alle pressioni Usa sul gas, promettendo un sostegno economico per la costruzione del primo rigassificatore tedesco. La Germania – accusata da Trump di essere «ostaggio della Russia» nelle politiche energetiche – potrà così cominciare ad importare Gnl «made in Usa», anche se dal punto di vista economico non ne avrebbe nessuna convenienza.
Merkel, secondo il giornale americano, avrebbe comunicato il «cambio di strategia» a un gruppo di parlamentari, affermando che il Governo tedesco è ora pronto a cofinanziare un impianto da 500 milioni di euro nel Nord del Paese. Meno di una settimana dopo, il 16 ottobre, un consorzio internazionale ha depositato una richiesta ufficiale di sussidi per un terminal a Stade, vicino Amburgo.
Il consorzio (di cui fanno parte China Engineering Company, la banca australiana Macquarie e l’americana DowDuPont) ha due potenziali concorrenti che a breve dovrebbero presentare progetti alternativi, scrive il Wsj, e la scelta potrebbe avvenire entro fine anno. Fonti tedesche e americane ipotizzano che questa mossa forse potrebbe bastare ad evitare sanzioni Usa contro Nord Stream 2, di cui è già stata avviata la costruzione in territorio tedesco.
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