Non è passato neppure un mese da quando il petrolio macinava record, spingendo ad evocare un nuovo rally verso il temuto traguardo dei 100 dollari al barile. Oggi sembra un altro mondo.
Le sanzioni Usa contro l’Iran sono sempre più vicine, eppure gli hedge funds – che per mesi, proprio in vista dell’appuntamento di novembre, avevano accumulato scommesse rialziste sul greggio – hanno cominciato a liquidare posizioni.
L’ondata di vendite questa settimana si è ingrossata al punto da provocare un vero e proprio crollo delle quotazioni del barile: martedì le perdite erano arrivate addirittura a superare il 5%. Troppo probabilmente, anche per gli speculatori più aggressivi. Non a caso ieri c’è stato un rimbalzo, anche se la seduta si era di nuovo aperta all’insegna dei ribassi. Il Brent è scivolato fino a 75,11 dollari, al minimo da due mesi, prima di chiudere stabile intorno a 76,50 $. In alcune fasi è comparso persino un piccolo contango, ossia uno sconto per le forniture a pronti, segnale associato a situazioni di eccesso di offerta.
Anche il Wti, che era crollato sotto 66 $, ieri è tornato sopra 67 $/barile. Ma come il benchmark europeo ha comunque stornato oltre il 10% rispetto al record da 4 anni, che aveva raggiunto solo a inizio ottobre.
La ritirata degli speculatori (che probabilmente sta continuando) è impressionante. I fondi hanno ridotto le posizioni rialziste per sei settimane consecutive, spingendo viceversa quelle ribassiste ai massimi da un anno al Nymex. C’è stata anche una parziale uscita dal mercato petrolifero: sempre al Nymex il numero totale di posizioni aperte era sceso ai minimi da due anni nella settimana al 16 ottobre, secondo le ultime statistiche Cftc.
Sul Wti pesa la salita incessante delle scorte negli Usa. Anche ieri i dati settimanali Eia hanno evidenziato un maxi-accumulo di greggio (+6,3 milioni di barili), benché accompagnato stavolta da un calo significativo degli stock di benzine (-4,8 mb) e di distillati (-2,3 mb). Probabilmente sono state proprio queste cifre a invitare gli hedge funds a ricostituire qualche posizione lunga, favorendo il rimbalzo delle quotazioni.
Un contributo può essere arrivato anche dal riemergere delle frizioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita sul caso Khashoggi. Donald Trump per la prima volta ha alluso a una responsabilità del principe Mohammed bin Salman nell’omicidio: «È il principe che manda avanti tutto laggiù», ha commentato con il Wall Street Journal.
È comunque presto per capire se il ciclo di liquidazioni sui mercati petroliferi si sia già esaurito del tutto. Le preoccupazioni per la crescita dell’economia globale (e dunque della domanda di petrolio) stanno crescendo e le quotazioni del greggio risentono dei dati macro negativi e degli scivoloni, sempre più frequenti, dei listini azionari.
A frenare la ripresa del rally ci sono anche segnali più specifici, provenienti dal settore petrolifero. I margini di raffinazione per la benzina sono crollati ai minimi da oltre due anni in Asia e da sette anni nel Nord Europa, dove sono finiti addirittura in territorio negativo.
La produzione di gasolio è ancora redditizia. Ma molte raffinerie sono comunque chiuse per manutenzioni e in Giappone ci sono impianti fermi a causa del terremoto e del tifone che si sono abbattuti di recente sul Paese. Negli Usa c’è stata la rottura di un gasdotto dal Canada, da cui dipendono le forniture energetiche di alcune raffinerie.
Le sanzioni all’Iran per il momento sono passate sullo sfondo, anche grazie alle rassicurazioni (verbali e fattuali) di Riad. L’Arabia Saudita – insieme alla Russia, ad alcuni Paesi del Golfo Persico e, paradossalmente, alle instabili Libia e Nigeria – ha già messo sul mercato oltre un milione di barili al giorno extra per compensare un calo dell’export iraniano che finora peraltro non è grande come si temesse .
Il ministro Khalid Al Falih ha assicurato che Riad è disposta ad aumentare ancora la produzione, dagli attuali 10,7 mbg fino al massimo, mai raggiunto, di 12 mbg e il ceo di Saudi Aramco, Amin Nasser, ha chiarito che lo si può fare in tempi rapidi: tre mesi.
I rialzisti (che sono tuttora dominanti sul mercato) possono permettersi una pausa.
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