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Tim, dalla rete alle torri: cosa resta di un colosso industriale in…

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L'Analisi |telecomunicazioni

Tim, dalla rete alle torri: cosa resta di un colosso industriale in crisi

Personale; numeri di bilancio espressi, solo per fare un esempio, nel rapporto fra debiti e fatturato; presenza internazionale. Basterebbe soffermarsi anche solo su questi tre elementi per capire come è cambiata negli anni la Telecom oggi alle prese con questo nuovo cambio di guida. Nell’ordine: quanto ai dipendenti, i 120mila che lavoravano in Telecom prima della privatizzazione sono scesi a quota 59.500, di cui 49.689 in Italia e 9.740 all’estero (dati alla fine del 2017); il rapporto tra i debiti e il fatturato era del 30%, salito a fine 2017 oltre il 120%; il gruppo era presente dappertutto nel mondo mentre ora, dopo la vendita - ma già qualche anno fa - di Telecom Argentina, rimane solo il Brasile.

Oggi il gruppo Telecom viene fotografato dalla R&S di Mediobanca come il quarto gestore europeo di telefonia fissa, dopo Deutsche Telekom, Orange e BT. In Italia è leader di mercato per quota di linee ( 52,6%) seguita da Wind Tre (13%), Vodafone (12,9%) e Fastweb (12,5%). Nel settore della telefonia mobile Tim è prima, alla pari con una quota del 30,8%, con Wind Tre, nata a fine 2016 dalla fusione fra Wind e 3 Italia.

Quello di Tim è comunque un mondo complesso con una storia importante, che coincide ovviamente con la storia delle tlc e dell’innovazione in Italia. Basti pensare - solo per fare un esempio - che a metà degli anni 90, grazie all’intuizione di Mauro Sentinelli, nasce la prima scheda ricaricabile per telefonia mobile al mondo. Una “rivoluzione di mercato”, e partita non dalla Silicon Valley, ma dallo Cselt di Torino: centro di innovazione e ricerca dapprima del gruppo Iri-Stet e poi di Telecom, oggi Tim.

Quella spinta innovativa, per tutta una serie di fattori, non è più paragonabile. Tim resta comunque una realtà con molte sfaccettature in cui si intrecciano varie attività. Fra controllate e collegate in Italia e all’estero c’erano 83 imprese al 30 giugno 2018. Le principali sono aziende che hanno una storia e un business strutturato. Ad esempio Inwit (la società delle torri di trasmissione di cui Telecom detiene il 60%); Persidera (la società, ora messa in vendita complice anche una spinta iniziale dell’Antitrust europeo, che possiede e gestisce vale a dire le infrastrutture che permettono la trasmissione del segnale tv in digitale terrestre di cui Telecom detiene il 70% e Gedi, l’ex Gruppo Espresso, la rimanenza); Sparkle (la società che possiede e gestisce un imponente insieme di infrastrutture fisiche pari a 450mila chilometri di cavi sottomarini, apparati e server in 37 Paesi).

Fra le controllate c’è anche una Tim San Marino, per accompagnare lo sviluppo del business legato al 5G a San Marino, dove Tim sta portando avanti una sperimentazione su frequenze dedicate. Una sperimentazione sul 5G sotto l’egida del ministero dello Sviluppo economico, insieme con Fastweb, l’ex monopolista la sta portando avanti anche a Bari e Matera. E sempre sul 5G, in autonomia, Tim sta lavorando a Torino insieme con Ericsson.

La telco poi, assieme a Fastweb, ha dato vita anche a Flash Fiber, una società per mettere a sistema la realizzazione della rete in fibra nella aree “nere” del Paese, vale a dire quelle già dotate di una certa concorrenza sul versante infrastrutturale.

Ultimo ma non ultimo c’è il tema della gestione della rete. Telecom, come ex monopolista, mette a disposizione la sua rete agli Olo, gli operatori alternativi, che rifacendosi a precise disposizioni da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, fanno girare i propri servizi sulla rete Telecom. In questo quadro, l’ultimo bilancio annuale di Tim segnala un fatturato di 15,3 miliardi in Italia (il 77,4% di un totale di poco inferiore ai 20 miliardi di euro: 10 in meno rispetto a un decennio fa) con la rimanente parte al Brasile. Di questi, di cui 13 vengono dai servizi e 2 dall'affitto della rete agli operatori alternativi.

Sul tema rete si è consumata, forse, la spaccatura decisiva che ha portato all’uscita di scena di Amos Genish. E questo, però, in un quadro in cui al tema core della rete da tempo nelle strategie di Telecom si fa sempre più strada, almeno nei proclami, il business del contenuti. Nella relazione finanziaria al 2017 si leggeva che «TIM punta, inoltre, a triplicare i clienti TIMVISION (1,3 milioni nel comparto Fisso a fine 2017)». Obiettivi che «fanno leva su contenuti di intrattenimento disponibili attraverso importanti accordi di partnership con player nazionali e internazionali, produzioni e coproduzioni di opere inedite». Su questo c’è ancora tanto la lavorare. Ma molte delle speculazioni sul futuro di Telecom passano da qui, dal versante contenuti.

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