NEW YORK - I grandi nomi del tech americano hanno riversato un vero e proprio tesoro nel riacquisto di titoli propri, per
premiare gli investitori e continuare a sostenere le quotazioni azionarie. I piani di buyback, stimolati dalla riforma delle tasse fatta scattare dall'amministrazione Trump e dal Congresso che ha incentivato il rimpatrio
di capitali dall'estero, non sono però bastati a mettere al riparo il settore e l'indice Nasdaq da scosse, con la leadership
tecnologica a Wall Street messa in discussione da ripetute brusche flessioni. E hanno anzi semmai alimentato il dibattito sul rischio di valutazioni eccessive a fronte di una crescita del business che
minaccia di rallentare.
Le aziende hanno anche utilizzato i fondi per ripagare significative porzioni di debito, per l'esattezza stando ad analisi
di Moody's 72 miliardi nel primo semestre dell'anno - un passo vicino a quello dei buyback guidato da protagonisti quai Apple
e Microsoft. Parte dei capitali freschi di arrivo dalle cassaforti estere ha infine preso la strada di acquisizioni. Solo
una nettamente inferiore porzione delle risorse è stata invece iniettata in veri nuovi investimenti produttivi - l'obiettivo
ufficiale della riforma. Anche se questi ultimi, nel caso delle cinque aziende in questione, sono a loro volta aumentati quest'anno
del 42% a quasi 43 milioni di dollari.
Soltanto le regine delle riserve di contanti - aziende quali Apple, Alphabet, Microsoft, Cisco e Oracle - hanno investito
nei riacquisti di azioni circa 115 miliardi di dollari nel corso della prima parte del 2018. Vale a dire, ad anno ancora non
concluso, oltre il doppio di quanto non avessero speso in simili operazioni nell'intero 2017. Il calcolo, cortesia del Financial
Times, evidenzia l'impatto della riforma fiscale che ha abbattuto le aliquote per le societa' offrendo anche significativi
sconti a chi riportava profitti in patria. Un calcolo che anche qui sottolinea una leadership, seppure controversa del compito
hi tech: complessivamente i buyback sono lievitati del 44% e dovrebbero salire di un ulteriore 22% nel 2019, con 25 gruppi
che rappresentano la loro quasi totalita'. Nel 2018 dovrebbero superare i mille miliardi, e una volta sommati dividendi e
fusioni la cifra potrebbe arrivare a 2.500 miliardi.
Il caso di Apple, regina della market cap di Borsa e dei tesori di riserve liquide, e' emblematico. Ad oggi nel 2018 ha innalzato
la sua spesa di capitale de 14% a 14,5 miliardi, ma i suoi buyback sono triplicati in valore al confronto dello stesso periodo
dell'anno passato, raggiungendo i 62,6 miliardi. Apple aveva destato scalpore quando quest'anno aveva stimato in 350 miliardi
di dollari il suo nuovo contributo all'economia statunitense nel corso dei prossimi cinque anni, una cifra che poi numerosi
analisti avevano messo in dubbio rilevando che in buona parte era legato a tradizionali impegni di spesa con fornitori e sono
in minima parte - forse 75 miliardi - davvero nuovo.
A rendere particolarmente rilevanti le mosse dei grandi nomi tech - finanziarie come industriali - e' la loro influenza sul mercato, alla guida di un segmento che in estate vantava una capitalizzazione da ben 6.600 miliardi. Numerosi di questi titoli, in particolare quelli della cosiddetta compagine Faang (Facebook, Apple, Amazon, Netflix, Google) ma non solo, hanno conosciuto lunghe e significative corse al rialzo ma adesso sono finiti sotto pressione tra dubbi su valutazioni e forza dell'outlook. Facebook, gigante dei social network scossa da ripetuti scandali sulla privacy e la gestione dei dati, in un quinquennio aveva piu' che quadruplicato le sue quotazioni. Oggi guida la ritirata con un calo del 34% dai massimi raggiunti a luglio, seppure ancora buono per un valore triplicato in cinque anni. Il suo Price/Earnings ratio e' sceso a 21, anche se sempre superiore alle medie storiche della Borsa.
Netflix aveva guadagnato in Borsa il 567% in cinque anni. Adesso, nonostante i continui successi di pubblico dei suoi show
originali, ha ceduto il 30% dai picchi delle ultime 52 settimane, con P/E ancora pari a ben 105. Amazon, in continua espansione
nel business dai supermercati Whole Foods al cloud dove svetta, ha oggi perso a sua volta il 20% in Borsa dai massimi. Il
suo P/E resta stratosferico a quota 91. Alphabet, player sempre dominante nella pubblicita' digitale, ha piu' che raddoppiato
il suo valore a Wall Street in un quinquennio. Ha adesso bruciato circa il 18% del valore dai massimi e il suo P/E attuale
e' di 40. Apple, tuttora l'azienda regina della market cap grazie a gadget quali l'iPhone e passi avanti nei servizi, aveva
preso in Borsa il 190% in cinque anni. Dai massimi delle 52 settimane sta bruciando al momento oltre il 17 per cento. Lunedi'
scorso ha bruciato oltre il 5 per cento. Il suo P/E e attorno a 16. Microsoft, ringiovanita con scommesse sulla frontiera
digitale dal cloud a Ai per il business, ha guadagnato il 202% in Borsa in cinque anni. E' ora scesa dell'8% dai massimi e
il suo P/E e' di 44.
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