Otto miliardi e mezzo di dollari. È l’impatto economico sulle compagnie di assicurazioni dell’uragano Michael che si è abbattuto sugli Stati Uniti nell’ottobre 2018. La stima è di Swiss Re, uno dei più grandi riassicuratori al mondo che nel suo database Sigma, censisce dal 1970 gli eventi catastrofali naturali o provocati dall’uomo. Nel 2017, i tre uragani Harvey, Irma e Maria hanno provocato sinistri per quasi 140 miliardi di dollari. Un vero e proprio crescendo negativo generato dal cambiamento climatico. Fenomeni che, a detta degli esperti, saranno sempre più frequenti nei prossimi anni come la recente alluvione in Veneto che ha spinto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in visita a Belluno, a dichiarare: «Siamo sull’orlo di una crisi climatica globale, per scongiurare la quale occorrono misure concordate a livello globale».
Il monito di Bank of England
Il primo a mettere in guardia la finanza (e in particolare gli assicuratori) sui rischi del clima fu Mark Carney, attuale presidente di Bank of
England e del Financial Stability Board (Fsb) . Il 29 settembre 2015, davanti ai Lloyds di Londra, Carney parlò di «tragedy of the horizon» a causa dei cambiamenti climatici e avvertì proprio gli assicuratori in platea sui potenziali riflessi finanziari negativi. All’epoca fu criticato da ambienti economici londinesi per i toni apocalittici di un discorso diventato ormai famoso. Proprio i Lloyd’s, nel report annuale 2018 (Lloyd’s City Risk Index) prodotto in collaborazione con il Centre for Rsik Studies di Cambridge, hanno rilevato che i rischi più gravi legati al cambiamento climatico sono le tempeste tropicali e le inondazioni che ammontano rispettivamente a 62,6 miliardi e 42,9 miliardi di dollari sul totale degli eventi monitorati.
Sostenibilità nuova parola d’ordine
A distanza di tre anni dal monito di Carney, il mondo della finanza sembra aver recepito la lezione. Fra i primi a capire i rischi del climate change è stato Larry Fink, il capo di BlackRock, il gruppo di risparmio gestito più grande al mondo con oltre 6 trilioni di dollari di masse in gestione. Nella tradizionale lettera di inizio anno ai manager delle più grandi aziende al mondo, Fink nel 2018 avvertì i capi azienda che la «Pietra Nera» non avrebbe più investito in aziende poco sostenibili.
Ecco allora che la sostenibilità è diventato un nuovo paradigma anche per la finanza. Alcuni grandi gruppi dell’asset management, soprattutto francesi, avevano già abbracciato tale filosofia in occasione di Cop21, il meeting di Parigi del dicembre 2015 dove si firmò l’accordo internazionale per contenere la crescita del riscaldamento globale entro i 2 gradi. È poi arrivata la direttiva Ue che, da quest’anno, obbliga le aziende quotate con più di 500 dipendenti a pubblicare le dichiarazioni non finanziarie, il cosiddetto «rendiconto di sostenibilità». Obbligo alle non financial information che, secondo alcuni consulenti, potrebbe essere esteso nei prossimi anni pure alle aziende quotate di piccole dimensioni. Da ricordare infine che proprio in questi giorni è in approvazione a Bruxelles la tassonomia (classificazione) della finanza sostenibile, in particolare della parte legata all’ambiente e che va sotto la “E” dell’ormai nota sigla Esg (environment, social, governance).
I 21 mila fondi low carbon mappati da Morningstar
Non soltanto BlackRock si è mossa sul versante climate change. Tutt’altro. A monitorare questa evoluzione ci ha pensato il data provider americano Morningstar realizzando un atlante dei gestori di fondi che hanno portafogli low carbon: sono 21mila i fondi comuni di investimento mappati in tutto il mondo. Per entrare nel radar Morningstar, almeno il 67% degli asset del fondo deve essere stato analizzato da Sustainalytics, l’agenzia di rating sostenibile. Quest’ultima ha elaborato il «Carbon risk rating» che segnala quanto valore di un’azienda è a rischio per la transizione verso un’economia a bassa emissione di anidride carbonica. Tale metodologia supera il concetto di impronta di carbone (carbon footprint): non vengono valutate soltanto le emissioni di CO2 ma anche i rischi che pesano sull’azienda ancora impreparata alla transizione energetica.
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