Avevano dato grandi soddisfazioni nel 2017, con rialzi a doppia cifra percentuale per il rame, l’oro e il petrolio. Ma quest’anno – complici la frenata dell’economia globale, la guerra dei dazi e la forza del dollaro – le materie prime sono nella bufera.
Le performance sono deludenti: i principali indici hanno già accumulato perdite superiori al 7%, accelerando la discesa nelle ultime settimane, al traino di metalli, combustibili e molti prodotti agricoli. A disorientare è però soprattutto l’estrema volatilità che si è scatenata sui mercati dell’energia: petrolio e gas sono soggetti a oscillazioni di prezzo così violente da prendere in contropiede anche gli investitori più navigati.
Ha fatto il giro del mondo la video confessione diffusa in You Tube da James Cordier, in cui il fondatore di OptionSellers.com ammette con voce voce spezzata di aver perso tutti i soldi dei clienti (almeno 150 milioni di dollari secondo le stime) per colpa delle violente oscillazioni del petrolio e del gas.
Solo pochi giorni prima era emerso che l’hedge fund di Pierre Andurand, considerato un guro del petrolio, era andato in rosso di oltre il 20% a ottobre, la peggiore performance mensile nella sua storia. Il fondo gestito dal francese, secondo il Financial Times, non ha smesso di accumulare ribassi e al 16 novembre perdeva il 15,7% da inizio anno.
Non tutti gli speculatori soffrono. Sempre secondo l’Ft, il Merchant Commodity Fund a ottobre – scommettendo sul ribasso del greggio – ha invece guadagnato il 16,1%.
In media gli hedge funds specializzati in materie prime sono comunque in negativo del 4% nel 2018, secondo Eurekahedge. Tra riscatti e perdite a fine ottobre il gestito si era ridotto dell’11%, ossia di 30,7 miliardi di $, stima la stessa società.
È probabile che anche le grandi banche o oggi stiano accusando il colpo, benché i primi nove mesi dell’anno fossero andati bene: dopo diversi anni in perdita, i dodici maggiori istituti – tra cui colossi come JPMorgan, Goldman Sachs, BofA Merrill Lynch e Morgan Stanley – erano riusciti a risollevare del 32% i profitti delle attività legate alle materie prime secondo Coalition, portandoli a 2,9 miliardi di $ nel periodo gennaio-settembre.
Ma la bufera sui mercati energetici all’epoca non era ancora arrivata. E quasi nessuno immaginava che cosa sarebbe successo.
Non sono soltanto le commodities a preoccupare. Il 90% delle 70 asset class monitorate da Deutsche Bank quest’anno è in negativo in termini di total return in dollari, una situazione senza precedenti (il precedente picco risale al 1920, con l’84% di 37 asset class in perdita).
Ma l’estrema volatilità che si è scatenata sui mercati petroliferi è stata senza dubbio una delle maggiori sorprese. Nel giro un mese scarso le quotazioni del barile sono passate dai record pluriennali al bear market e negli ultimi 15 giorni ci sono state ben tre sedute di passione, con perdite intorno al 7%. Ieri viceversa c’è stato uno strappo al rialzo di oltre il 3%, che ha riportato il Brent sopra 60 $.
La volatilità – che di solito non è disprezzata dagli speculatori – è esplosa in modo incontrollabile. Nel caso del greggio la misura (ricavata dal mercato delle opzioni) è passata in poche settimane da 30 a 60 , un record dal 2016.
Il tutto è avvenuto mentre gli hedge funds liquidavano grandi posizioni rialziste (per 12 miliardi di dollari solo a novembre) e spingevano quelle ribassiste ai massimi da oltre un anno.
Il gas al Nymex è spesso soggetto a oscillazioni violente, ma anche in questo caso si è andati oltre la norma: la volatilità implicita è salita da 30 a 130, a livelli che non si vedevano da almeno un decennio.
Le perdite che hanno mandato a picco OptionSellers.com (e probabilmente molti altri) sono il frutto di giornate come quelle del 14 e 15 novembre: in una seduta il prezzo è balzato del 18%, maggior rialzo giornaliero dal 2010, in quella successiva è crollato del 17%, un record dal 2003.
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