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Il robot consulente costa poco ma piace ai risparmiatori più anziani

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Il robot consulente costa poco ma piace ai risparmiatori più anziani

I prezzi bassi dell’offerta. Poi: l’accessibilità del servizio. Ancora: la raccomandazione, o gestione patrimoniale, che ha ad oggetto prevalentemente quote di Etf o di fondi comuni d’investimento. Infine: l’utenza che è tra i 40-60 anni d’età. Sono alcuni dei risultati che saltano fuori dall’analisi sul robo advice in Italia contenuta in un quaderno FinTech pubblicato dalla Consob. Una ricerca cui hanno contribuito anche la Scuola Superiore sant’Anna di Pisa, l’Università Bocconi, l’Università di Pavia, l’Università di Roma “Tor vergata” e l’Università di Verona.

I soggetti analizzati
L’ampia ricerca ha analizzato 20 operatori di cui: 10 banche, 6 fornitori di servizi online dedicati anche al retail, un asset manager che offre servizi agli operatori professionali e tre “software houses”. L’inchiesta, a ben vedere, si articola in due parti. La prima esamina lo sviluppo della consulenza automatizzata in Italia e le prospettive future, anche alla luce del contributo degli operatori già attivi nella prestazione del servizio ‘tradizionale'. La seconda analizza le specialità della consulenza automatizzata rispetto al quadro normativo esistente.

Automazione o quasi...
Va dapprima sottolineato che rispetto al robo advisors B2C, i dati raccolti mostrano anzitutto che l’unico modello diffuso è quello ibrido. Al canale web, infatti, si può affiancare l’interazione con il consulente fisico nella fase di assistenza del cliente, che spesso permette agli investitori di scegliere tra l'opzione digitale e quella umana. In generale, le evidenze raccolte mostrano che l'interazione tra cliente e consulente resta un fattore critico di successo, tanto da orientare il mercato verso la valorizzazione della relazione “umana” anche nell'ambito della consulenza automatizzata.che il grado di digitalizzazione degli operatori considerati è eterogeneo.

Commissioni basse
Ciò detto è interessante rilevare che, con riferimento all’attività rivolta alla clientela consumer, nella robo advice il prezzo è limitato. Le commissioni applicate al patrimonio in gestione vanno dallo 0,3 allo 0,7% l’anno. Si tratta di valori «contenuti rispetto ai prezzi del “servizio tradizionale”», scrivono gli esperti nel paper. I quali citano una stima di Black Rock (2016) che ha definito in media la “fee” richiesta dal roboadvisor circa 130/180 punti base più bassa di quella richiesta da un intermediario tradizionale per un fondo bilanciato. Una situazione che «rende il roboadvice - sottolineano sempre gli studiosi - potenzialmente molto competitivo soprattutto nel contesto domestico». Oltre al tema della commissione c’è, poi, quello dell’accessibilità del servizio. Gli investitori possono operare online senza limiti d’orario, vincoli logistici e con rapidità. L'esperienza di navigazione appare agevole e non richiede particolari competenze digitali se non l'abitudine a utilizzare la rete Internet.

Difficile attirare nuovi clienti
A fronte di questa situazione, però, il costo che i consulenti automatizzati (o quasi) devono sostenere per l’acquisizione di nuovi clienti è elevato. Ciò pone a rischio la sostenibilità economica nel breve periodo dei relativi modelli di business. Vale a dire: è ben vero, da un lato, che l’atout dei soggetti digitali (anche grazie alla scalabilità delle tecnologie) sono le commissioni inferiori a quella degli istituzionali; ma, dall’altro, il riuscire ad incrementare la propria clientela non è facile. Anche perchè, secondo il report 2016 della Consob, ben l’87% dei risparmiatore ha mai sentito parlare di robo advice. E il 66% si dice non interessato al servizio per paura delle truffe online. Certo: in tre anni la situazione è cambiata. E, tuttavia, le percentuali indicate segnalano un approccio culturale che nel risparmio favorisce ancora il rapporto interpersonale con l’umano.

Livello minimo di patrimonio
Al di làdi simili considerazioni, quali le condizioni riguardo all’accessibilità dal punto di vista patrimoniale? Rimanendo nel mondo B2B il report sottolinea che in un caso questa è massima, in quanto non è prevista alcuna soglia di accesso. Quattro altri casi, invece, prevedono un limite minimo di 20.000 euro. Infine un’altra realtà richiede che il patrimonio debba essere almeno di 50 mila euro. denari che vengono invetsiti in che modo? I prodotti proposti dai robo advisors sono costituiti prevalentemente da quote di Exchange Traded Funds (Etf) e di fondi comuni di investimento e non includono, nella maggior parte dei casi, prodotti del gruppo di appartenenza.

Non una consulenza per Millenials
Si tratta di giovani? Qui c’è la novità che non ti aspetti. Le prime esperienze domestiche rivelano che i clienti sono prevalentemente uomini tra i 40 e 60 anni. Soggetti già avvezzi alle scelte di investimento e che dispongono un reddito medio-alto. Cioè: si tratta di una tendenza diversa da quella anglossassone dove si parla di Millenials connotati da un patrimonio più contenuto.

Inquadramento giuridico del fenomeno
Fin qui alcune considerazioni operative. Quali invece le indicazioni sul fronte normativo? Il fenomeno del robo advice, spiegano gli esperti, è già affrontato nel cosiddetto ‘pacchetto' MiFID II , che prevede la possibilità di prestazione del servizio di consulenza in materia di investimenti tramite sistemi automatizzati o semi-automatizzati, chiarendo che le medesime regole si applicano a prescindere dal canale di interazione con il cliente (Considerando 86 e art. 54, c.1, del Regolamento (UE) delegato della Commissione 2017/565 del 25 aprile 2016 e Orientamenti ESMA, 2018). La consulenza finanziaria prestata dai robo advisor è pertanto inquadrabile nell'ambito del servizio di ‘consulenza in materia di investimenti'.

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