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Petrolio, Trump riprova a fermare i prezzi (ma i tweet perdono…

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Servizio |trimestre record: +30%

Petrolio, Trump riprova a fermare i prezzi (ma i tweet perdono efficacia)

Donald Trump (Afp)
Donald Trump (Afp)

Con il petrolio che si avvia a concludere il miglior trimestre dal 2009 – un rialzo del 30% per il Wti – Donald Trump non è riuscito a trattenersi. Un nuovo tweet del presidente americano, il secondo dall’inizio dell’anno, è piombato sul mercato, ma stavolta l’accoglienza è stata davvero tiepida e il rally si è fermato solo per poche ore.

«È molto importante che l’OPEC aumenti il flusso di Petrolio», ha scritto l’inquilino della Casa Bianca, insistendo sugli stessi concetti della volta precedente, ma con toni sorprendentemente educati e gentili, al punto da ringraziare gli interlocutori.

«I Mercati mondiali sono fragili – prosegue il messaggio, come sempre costellato da lettere maiuscole – Il prezzo del Petrolio sta diventando troppo alto. Grazie!»

Le quotazioni del barile nell’immediato sono crollate del 2%, ma in seguito hanno recuperato le perdite. Il Brent ha chiuso a 67,82 $, invariato rispetto alla seduta precedente e in rialzo di quasi il 25% da inizio anno.

Il Wti ha invece concluso a 59,30 $, in leggera flessione, ma non tanto per le parole di Trump quanto per il dato che le ha probabilmente ispirate, ossia la revisione al ribasso del Pil Usa nel quarto trimestre (l’economia è cresciuta del 2,2% anziché del 2,6%).

A esercitare pressione sui prezzi c’era inoltre l’accumulo delle scorte di greggio segnalato il giorno prima dall’Eia: +2,6 milioni di barili, anche se compensato da un forte calo di benzine e distillati.

Le formule più garbate con cui Trump si rivolge all’Opec potrebbero anche frutto del caso: chissà, forse il presidente si è svegliato di buon umore. Anche nel tweet precedente – quello di fine febbraio, che l’Opec ha bellamente ignorato – c’era però un insolito «per favore» prima dell’esortazione a «andarci piano» coi tagli produttivi. E c’era già il riferimento (fino a quel momento inedito) alla «fragilità» dell’economia mondiale, per cui il caro petrolio comporta rischi aggiuntivi.

Un bel cambio di atteggiamento rispetto al passato, quando Trump oscillava tra le velate minacce e gli ordini perentori: memorabile il «RIDURRE I PREZZI ORA!» di luglio 2018, l’equivalente di un urlo su carta.

L’Opec – o meglio, l’Arabia Saudita – non sembra più disposta a scendere a patti con gli Stati Uniti, come aveva fatto prima delle sanzioni con l’Iran, salvo poi veder crollare il prezzo del greggio quando poi Trump a sorpresa ha concesso esenzioni a pioggia.

Dietro le quinte è possibile che anche adesso ci siano consultazioni, magari anche accordi segreti, in vista della scadenza dei waivers tra poco più di un mese: le ultime indiscrezioni, riferite da Bloomberg, dicono che l’amministrazione Usa sia divisa sull’opportunità di concedere proroghe ai Paesi che importano da Teheran.

Se molti tagli Opec non sono volontari – di certo non lo sono in Venezuela, dove di nuovo i blackout sono tornati a paralizzare il Paese – finora però i sauditi non ci stanno affatto «andando piano»: le esportazioni di Riad sono crollate sotto 7 mbg e le vendite agli Usa in particolare sono diminuite di due terzi rispetto a un anno fa, un calo che non dipende solo dalla maggiore indipendenza energetica di Washington.

Se Trump ha davvero bisogno di aiuto dovrà forse mettere sul piatto qualcosa di più della gentilezza.

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