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Petrolio, alta tensione in Medio Oriente ma i prezzi non corrono…

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L'Analisi |geopolitica ed energia

Petrolio, alta tensione in Medio Oriente ma i prezzi non corrono (ancora)

(Reuters)
(Reuters)

La tensione è alle stelle in Medio Oriente, regione da cui proviene oltre un terzo del petrolio mondiale. Attentati a petroliere e oleodotti – oltre al rischio di una vera e propria guerra tra Stati Uniti e Iran – non hanno però scaldato più di tanto il prezzo del barile, che dall’inizio della settimana registra un rialzo di appena il 2%. Il Brent, che a fine aprile aveva superato quota 75 dollari, ora fatica a superare 72 dollari.

Al mercato non mancherebbero gli spunti per correre, ingrossando quello che nel gergo degli analisti si chiama «premio geopolitico». Ma di certo non stiamo assistendo a un rally, anche se il premio delle quotazioni a pronte su quelle a futuri – la cosiddetta backwardation, che segnala scarsità di greggio – continua ad aumentare, insieme alle preoccupazioni sull’offerta: il greggio per consegna luglio ora costa oltre 3 dollari al barile in più rispetto a quello per dicembre.

È probabile che a frenare il rialzo dei prezzi abbia finora contribuito la rottura delle trattative commerciali tra Usa e Cina: i mercati sono entrati in modalità «risk off» (che penalizza le materie prime) ed è tornato in primo piano il timore di un rallentamento dell’economia mondiale. Ma le quotazioni del barile potrebbero risvegliarsi da un momento all’altro, se la situazione in Medio Oriente dovesse subire un ulteriore deterioramento, come purtroppo sembra possibile.

Negli ultimi giorni gli eventi hanno subito una pericolosa accelerazione nell’area. Gli Usa – dopo aver inviato portaerei e cacciabombardieri nel Golfo Persico – ieri hanno evacuato dall’Iraq il personale diplomatico «non essenziale»: una mossa che potrebbe preludere ad un attacco contro le milizie sciite filoiraniane.

Una guerra in Iraq – il quarto produttore di greggio mondiale, dopo Usa, Arabia Saudita e Russia, con 4,6 milioni di barili al giorno – sarebbe un rischio gravissimo per le forniture, soprattutto in questo momento.

L’export dall’Iran sta infatti crollando per effetto delle sanzioni americane: secondo l’Aie è già ai minimi da settembre 2013 (2,6 mbg ad aprile) e potrebbe scendere a livelli che non si vedevano dagli anni ’80, durante la guerra con l’Iraq. E il Venezuela è sempre più in crisi: Platts ieri riferiva che secondo documenti riservati la produzione nella fascia dell’Orinoco è crollata del 77% rispetto a inizio aprile, ad appena 169,800 barili al giorno, perché mancano petroliere disposte a trasportare il greggio.

Dal Medio Oriente il petrolio continua ad arrivare senza interruzioni. Ma in Arabia Saudita martedì c’è stato un attentato contro un oleodotto, attribuito ai ribelli Houthi dello Yemen (anch’essi filoiraniani):  droni aerei hanno colpito due stazioni di pompaggio della East West Pipeline, che trasporta greggio verso il Mar Rosso, consentendo di bypassare il Golfo Persico.

Domenica c’era invece stato il sabotaggio di quattro petroliere (di cui due saudite) al largo di Fujairah, negli Emirati arabi uniti: un episodio dai contorni tuttora poco chiari, di cui non sono stati identificati i responsabili. Il ministro degli Esteri emiratino, Anwar Gargash, ieri ha detto di non voler speculare sull’accaduto per non infiammare ulteriormente gli animi: «È facile lanciare accuse, ma la situazione è difficile, ci sono questioni serie tra cui il comportamento dell’Iran».

Teheran stessa ha cercato di smorzare l’allarme. «Non stiamo cercando una guerra, così come non la cercano loro (gli Usa, Ndr) – ha detto l’ayatollah Ali Khamenei, leader supremo della Repubblica islamica – Sanno che non sarebbe nel loro interesse».

Anche se non diventeranno un casus belli, gli attentati alle petroliere e all’oleodotto saudita hanno comunque messo in evidenza la vulnerabilità di alcune infrastrutture cruciali per il commercio del petrolio.

La East West Pipeline – tornata in funzione ieri dopo lo stop precauzionale – è un’importante via di trasporto alternativa per greggio e prodotti raffinati, che per l’Arabia Saudita diventerebbe indispensabile in caso di incidenti o vere e proprie azioni militari nel Golfo Persico. Secondo il Wall Street Journal Riad avrebbe accelerato proprio in questi giorni un piano per espanderne la capacità di trasporto da 5 a 6,5 milioni di barili al giorno

Il sabotaggio delle petroliere è invece avvenuto al largo di Fujairah, negli Emirati arabi uniti: uno snodo cruciale per gli scambi di greggio, punto di arrivo di un oleodotto nonché punto di rifornimento per le navi che transitano da e per il Golfo Persico, situato vicinissimo allo Stretto di Hormuz.

Quest’ultimo è di enorme importanza strategica e commerciale. Vi passano 17,5 milioni di barili al giorno di greggio, pari a quasi un quinto dell’intera produzione mondiale e a circa il 40% di tutte le esportazioni via mare.

Da Hormuz, fa notare Rystad Energy, transita il 90% dell’export petrolifero saudita, il 75% di quello iracheno e tutte le forniture da Iran, Kuwait, Qatar e Bahrein.

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