Le Pmi che hanno scelto di aprire il board a consiglieri con un’esperienza maturata in una società quotata sono più redditive. E in generale, mettere mano alla governance può essere una strada per migliorare la performance aziendale. Il primo rapporto annuale Osservatorio Imprese di Sda Bocconi, che viene presentato oggi, cerca di scavare nella zona di confine tra le aziende con un pieno controllo famigliare (con una dimensione comunque superiore ai 100 milioni di fatturato) e le realtà che hanno già scelto di aprire il capitale a terzi, attraverso un percorso di quotazione o l’ingresso di fondi. E il risultato dell’analisi è che la contaminazione tra i due mondi può portare valore, misurabile in un miglioramento degli indici di redditività. A patto, però, di sapere gestire con accuratezza la governance aziendale. Sono decisivi anche gli equilibri nell’assetto proprietario: l’aumento del numero di azionisti ha un impatto negativo sugli indici di redditività, ma d’altra parte la concentrazione della proprietà tende a fare aumentare l’indebitamento. In generale, in un’impresa famigliare, l’apertura del capitale a soggetti esterni ha comunque un impatto positivo sulla performance.
«Non è necessario che un’impresa intraprenda un percorso di quotazione - spiega Alessandro Minichilli, direttore del corporate governance lab di Bocconi e curatore del rapporto con Daniela Montemerlo -: è sufficiente osservare le best practices, e un consigliere di quotate può fungere da volano, in questo senso, per chi non è quotato». Il problema non è il leader, che può e deve restare proprietario: l’indagine rivela che le aziende il cui il leader è parte della proprietà hanno una redditività più alta e un indebitamento minore.
Le performance delle Pmi che hanno scelto di intervenire sulla governance sono complessivamente migliori di quelle in cui il board non ha esperienze di questo tipo. In generale, però, l’Osservatorio Bocconi evidenzia ancora una certa rigidità nel «mercato» italiano dei consiglieri, anche di quelli di realtà quotate: le logiche di cooptazione dei consiglieri outsider o indipendenti appaiono ancora focalizzate su centralità nel network, «affinità elettive» con l’impresa, logiche «imitative» settoriali, e vicinanza territoriale e culturale.
«La corporate governance - spiega Gian Maria Mossa, amministratore delegato di Banca Generali, tra i partner dell’Osservatorio - è un elemento chiave per stimolare lo sviluppo e la strategia di un’azienda, ed è la porta d’accesso al dialogo con gli investitori. Il nostro impegno al fianco degli imprenditori e alle imprese non si limita alla protezione patrimoniale ma riguarda sempre di più tutte quelle sfide finalizzate ad una crescita sostenibile nel tempo».
Dello stesso avviso Fabrizio Acerbis, managing partner Pwc Tls. «Per le imprese famigliari italiane - spiega - la governance è oggi un elemento critico di successo. Le scelte strategiche in questo ambito rappresentano uno dei tre pilastri di crescita, insieme alla proiezione internazionale e alla digital transformation del business. Pwc Tls ha deciso di partecipare come partner scientifico al progetto del Cg Lab, proprio perché aumentare la cultura degli imprenditori in questo ambito, forse un po’ dimenticato, è chiave per il futuro del tessuto industriale italiano».
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