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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2012 alle ore 10:25.

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Epicentro della burocrazia e al tempo stesso scommessa per lo sviluppo di un'intera regione. L'Aquila e la sua provincia – colpite da un sisma devastante poco più di tre anni fa – vivono un paradosso che rischia di soffocare ogni modello economico territoriale di rinascita.

Giuseppe D'Amico, direttore di Confindustria Abruzzo, sintetizza: «Le imprese aquilane sono disperate con la Pa, sono soffocate da adempimenti, ritardi e inefficienze senza che vi sia nessuna norma sanzionatoria nei confronti degli uffici inadempienti o previsioni risarcitorie per le imprese danneggiate». Modesto Lolli, presidente della Piccola industria di Confindustria regionale, è un fiume in piena. «Qui i centralini non rispondono e gli uffici protocollo non funzionano – spiega – e, come se non bastasse, il ritardo degli atti dovuti e rimandati alle calende greche apre la porta alla corruzione. La Pa aquilana ha chiuso gli occhi davanti a persone spregiudicate che venivano da fuori regione».

Peccato che, dalla pubblica amministrazione alla finanza, passando per imprese e professioni, nessuno voglia esporsi – tutti lo affermano con la solenne promessa dell'anonimato – nel dire che i ritardi della Pa sono anche figli della follia politica. Non tutti in regione vogliono che L'Aquila riparta, secondo il vecchio (ma in questa circostanza sbagliato) adagio latino "mors tua vita mea". È incredibile che, come afferma D'Amico, «non si capisca che la rinascita dell'Aquila, che è il più grande cantiere d'Europa e il laboratorio per un nuovo modello di economia fondato sui servizi a rete, trascinerà la ripresa dell'intera regione». Un fraintendimento in un territorio in cui il terremoto ha divelto ferro e cemento ma non ha potuto piegare lo spirito degli imprenditori che, dal giorno dopo le scosse, erano già al lavoro per ripartire. Piccoli e grandi, senza distinzione.

«Nelle ore immediatamente successive – spiega Guido Cantalini, presidente di PlaNet, una srl specializzata nell'installazione di impianti elettrici ed elettronici con un fatturato a fine 2010 di 1,8 milioni e 25 dipendenti – abbiamo piazzato i container fuori dagli uffici e non abbiamo perso tempo per ricominciare». Una storia incredibile quella di PlaNet. «Nei mesi successivi – continua Cantalini – 10 dipendenti hanno deciso di lasciare l'impresa e hanno dato vita ad alcuni spin-off. Una scommessa ottimista che solo gli aquilani possono lanciare».

No, pazzi gli abruzzesi non lo sono. Laboriosi e testardi sì, esattamente come li rappresenta uno stereotipo di cui andare orgogliosi. Che siano nelle piccole o nelle grandi imprese, come la multinazionale chimico-farmaceutica Dompè, che fa parte di un polo che raggruppa 26 imprese. «Dopo 20 giorni – spiega il direttore di stabilimento Enrico Giaquinto – i dipendenti erano già al lavoro con le tende attrezzate fuori. Ci dormivano e la mattina entravano in fabbrica».

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