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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2013 alle ore 08:44.

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È stato per anni un'enclave all'interno della Zona industriale di Catania. Sconosciuto ai più, aveva dalla sua risorse pubbliche e piani di ricerca che sulla carta potevano dare grandi risultati.

E invece per tutti il Parco scientifico e tecnologico della Sicilia, società consortile a prevalente capitale della Regione siciliana ma con una buona partecipazione dei privati, creato nel 1991 ma attivo dal 1994, era percepito solo come un grande "stipendificio": soltanto costi e nessun risultato. Questo nell'opinione corrente senza nulla togliere all'impegno di chi ha guidato in questi quasi vent'anni il Parco. Sicché la prima battaglia che Marco Romano, giovane presidente proveniente dai ranghi universitari, ha dovuto affrontare quando un paio di anni fa è stato nominato alla presidenza, è stata quella di rinnovarne l'immagine. Soprattutto per far capire al mondo economico non solo siciliano che il Parco non è un'enclave chiusa da guardare con sospetto ma una struttura al servizio delle imprese. Ci ha provato per oltre dieci anni il predecessore Antonio Catara.
Lo ha raccontato di recente un incontro organizzato dalla Banca d'Italia: «La nostra missione – spiega il presidente – è quella di creare valore con una partecipazione aperta a tutti. Il nostro è un modello collaborativo tra ricerca, imprese e territorio. Con un dovere preciso: uscire dai laboratori per trasformare la conoscenza in risultati di ricerca e l'innovazione in business».

Tutto ciò anche in presenza di una spending review avviata dalla Regione siciliana che penalizza e non poco la gestione di questa struttura «considerata a torto una delle tante società da privatizzare – insiste il presidente –, mentre rappresenta la felice sintesi tra pubblico e privato, l'alleanza perfetta tra imprese e mondo della ricerca. Eppure secondo l'allora assessore all'Economia Gaetano Armao anche noi rientriamo nel novero degli enti regionali cui applicare tagli e criteri anche per utilizzare il personale».
Tra i paradossi del Parco vi è che la Regione siciliana detiene l'88% delle quote societarie, ma non paga nulla e così tutte le spese restano a carico dei privati che sono rimasti. S'insiste molto sulla progettualità e sulla capacità di fare rete con altre istituzioni per poter continuare a fare ricerca e tenere viva una struttura dalle grandi potenzialità: i progetti industriali sono circa 55 in settori diversi tra loro come le nanotecnologie, la microbiologia e le tecnologie alimentari, i biopolimeri, l'agroenergia e i beni culturali. Tra le alleanze quella con il parco tecnologico padano e le relazioni con soggetti di ricerca anche stranieri, persino in Cina.

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