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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2013 alle ore 06:42.

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Non è un parco scientifico-tecnologico, non è un centro di ricerca, non è un laboratorio, eppure è al Cerr che l'industria della via Emilia riconosce da alcuni anni il ruolo fondamentale di propulsore di innovazione hi-tech capace di tradursi in valore aggiunto e competitività per l'economia e il territorio. Anche se nel nome ricorda il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle, Cerr è in realtà l'acronimo di Confindustria Emilia-Romagna Ricerca. Una creatura rara, se non unica, nel panorama italiano: un servizio interassociativo creato tre anni fa in via sperimentale dalle confindustrie territoriali della regione per svolgere con costi minimi – tre persone in organico e un referente per ogni associazione provinciale – una funzione essenziale di interfaccia tra mondo della ricerca e delle università, da un lato, e sistema imprenditoriale dall'altro.

I numeri del Cerr, formalizzato come società consortile da fine 2011, raccontano il contributo offerto: 250 imprese coinvolte in più di 2mila interventi di supporto bottom-up, soprattutto per attività di progettazione, tutorship, networking; una decina di contratti di rete promossi tra meccanica, tecnologie della ceramica e farmaceutica; oltre a diverse iniziative top-down mirate a diffondere tecnologie abilitanti con partner scientifici internazionali su filoni come e-health e bioinformatica, medicina rigenerativa, elettronica organica, applicazioni del grafene, metamateriali.

«L'Emilia-Romagna ha un tessuto industriale innovativo e un impact factor della ricerca scientifica generata dagli atenei tra i migliori al mondo. Ciò che scarseggia è la quantità e qualità dell'interazione tra sistema industriale e accademico, con rari casi di know-how universitario trasferito e convertito in fatturato. Noi è qui che interveniamo, come struttura ponte tra due mondi ancora troppo distanti», spiega Marco Baccanti, amministratore unico di Cerr, presidente della commissione Ricerca e innovazione di Confindustria Emilia-Romagna che fa da sede al consorzio, nonché numero uno di Iasp-International association of science parks, dopo aver guidato il parco scientifico Centuria di Cesena, quello biomedico del San Raffaele a Milano e il biotech park di Dubai. «Cerr nasce dallo stesso humus dei parchi scientifici – aggiunge Baccanti –, ma affonda in una base associativa così ampia (sono oltre 8mila le imprese associate a Confindustria in regione, ndr) che non ha bisogno di marketing per la propria attività, avendo poi braccia operative nelle stesse territoriali. Anche per questo Cerr non ha finora catturato all'esterno l'attenzione che merita, ma in questa regione sarebbe stato un errore creare nuove strutture di ricerca o laboratori con nomi altisonanti, perché tra Aster e tecnopoli la ricerca già si fa e bene. Qui serviva un ponte, un'interfaccia».

Cerr da un lato aiuta l'imprenditore a uscire dai binari strutturati del business quotidiano e a percepire il bisogno e le opportunità di innovazione, dall'altro fa da collegamento con enti di ricerca, università (da Bologna a Napoli, da Parma al Marie Curie di Lione) e con enti pubblici finanziatori (dalla Regione all'Unione europea), supportando la fase progettuale e la contrattualistica. «Ci potremmo definire dei facilitatori e acceleratori dell'innovazione e dei meccanismi di condivisione e propagazione della stessa», esordisce Danilo Mascolo, responsabile operativo della Ricerca in Confindustria, un passato da ingegnere elettronico in società come STMicroelecrtonic e oggi il fautore di quest'onda d'urto hi-tech da Piacenza a Rimini. «Grazie a Mascolo siamo entrati in contatto con i partner aziendali con i quali abbiamo poi ottenuto i fondi europei per lo sviluppo del progetto Optobacteria (biosensori per rilevare resistenze agli antibiotici) che coordiniamo», spiega Alberto Venturelli, presidente della modenese Tydock Pharma Srl, giovane spin-off dell'Università di Modena e Reggio Emilia nel ramo chemo-biotech, che tra poche settimane debutterà sul mercato online, tramite la controllata Ophera, con applicazioni farmaceutiche e cosmetiche a base di principi bioattivi vegetali. «E grazie a Cerr – continua Venturelli – potremo sviluppare due importanti progetti applicativi su farmaceutica e biotecnologie all'interno del bando regionale Distretti 2».

Cambiano i settori ma non il ruolo propulsore del consorzio nell'attivare risorse europee e ricerca quando si parla con gli amministratori delegati della bolognese Reglass, attiva nei materiali compositi in carbonio, o della reggiana Ghepi, che si occupa di R&S e ingegnerizzazione di materie plastiche. Cerr, accreditato dalla Rete alta tecnologia dell'Emilia-Romagna come centro per l'innovazione e il trasferimento tecnologico, è il soggetto attuatore dell'ultimo bando regionale Distretti 2, dentro al quale gestisce tre distretti (materiali per la meccanica, materiali per la ceramica, farmaceutica e biotecnologie) e ha già attivato nove contratti di rete. «Noi, assieme ad altre due aziende della regione e in collaborazione con il laboratorio Mister del Cnr, abbiamo appena dato vita alla rete Graphene R2B net per lo sviluppo del grafene come additivo nei polimeri termoplastici e che ci porterà ad assumere un ricercatore in ognuna delle tre aziende partner», racconta Mariacristina Gherpelli, ad della Ghepi di Cavriago. Luca Pirazzini, ad di Reglass, ha invece appena avviato grazie al Cerr una rete con altre quattro Pmi per lavorare sui metamateriali e potenziare l'ultimo brevetto Sismocell (sui 22 all'attivo).

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