Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2013 alle ore 08:51.

My24

Sulla carta Trieste è la città italiana con la massima concentrazione di cervelli. Un primato che non la farebbe sfigurare in Europa. E probabilmente nel mondo. A elencare i gioielli triestini è una ricerca della Fondazione Nord-Est del 2011. Scrive la ricercatrice Silvia Oliva: «Sul fronte del capitale umano la provincia Trieste gode di un capitale unico in termini di sistema scolastico superiore e universitario, cui si affiancano istituzioni di formazione manageriale (Mib) e centri di eccellenza il cui alto valore viene anche riconosciuto a livello internazionale: Area science park, Sissa, Centro internazionale di Fisica teorica (Ictp), al quale vanno sommati il distretto del caffé, il distretto tecnologico di biomedicina molecolare e il distretto tecnologico navale». Un elenco che non finisce qui, al quale bisogna sommare, last but not least, l'Università degli studi di Trieste e, guai a dimenticarlo, il Sincrotrone che si trova, appunto, nell'Area science park.

Dentro i contenitori si dispiega un apparato scientifico e tecnologico di prima grandezza: tre istituti di alta formazione (Mib, school of management, Sissa e università di Trieste) 26 centri di ricerca, alcuni dei quali eccellenti a livello internazionale; Area science park che ospita 87 realtà tra cui il Laboratorio elettra, il laboratorio nazionale in tecnologie avanzate e nano scienza (Tasc), il Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologia (Icgeb) diretto dal professor Mauro Giacca, al tempo stesso editorialista in materia scientifica per il Piccolo di Trieste.
Una forza di fuoco soverchiante per un'area di neppure 236mila abitanti con attorno soltanto una mezza dozzina di Comuni. Se la conoscenza è potere, per parafrasare la famosa frase degli anni '70 (l'informazione è potere), allora Trieste dovrebbe essere la città più potente d'Italia, non solo in termini di ricerche scientifiche, ma pure di ricadute sul sistema delle imprese, rappresentato da un bacino che si estende ben oltre l'area giuliana, friulana e veneta, con la Carinzia e la Slovenia che in un'ottica geopolitica dovrebbero essere le altre "province" triestine. Invece, quando il ragionamento scivola sulle ricadute, persino i triestinologi più accaniti cambiano improvvisamente espressione, quasi si rabbuiano. E cominciano a raccontare della Trieste oltre Trieste, oppure, come è successo a Massimo Giardina ed Enzo Rullani, docente di Strategia d'impresa a Ca'Foscari e studioso del modello economico nordestino, di una Trieste «come città dell'intelligenza, un'intelligenza selettiva che radica sul posto saperi e capacità non facilmente inimitabili e trasferibili».

Ma perché tutti preferiscono tratteggiare scenari futuribili piuttosto che fotografare la Trieste contemporanea? Forse perché, come dice Rullani, «la cultura delle persone e delle organizzazioni che operano nel circuito scientifico-tecnologico è diversa e distante da quella delle persone e delle organizzazioni che popolano l'economia locale». Come dire: la cittadella della scienza e quella del fare corrono su due binari che non s'incontrano. Una volta rotto il tabù, Rullani insiste: «Trasferire non basta: e la storia dei tanti tentativi compiuti nei poli scientifico-tecnologici di mezzo mondo lo dimostra, specie quando il pubblico dei destinatari ha poca familiarità con i linguaggi formali e gli ambienti tipici della ricerca».
Lo schema corretto, secondo Rullani, è quello della co-innovazione, ossia delle interiorizzazione degli obiettivi. Il ragionamento si fa difficile, ma il professore veneziano sostiene che la ricerca non possa impacchettare gli sforzi ottenuti dalla compressione della materia grigia e trasferirli a qualcuno che poi dovrà applicarli. Metodologicamente ineccepibile. Poteva finire qui, ma evidentemente le parole di Rullani frullavano nella testa di qualcuno cui toccava decidere con chi rimpiazzare Corrado Clini, chiamato a incarichi di governo, al vertice dell'Area science park. Nei primi mesi del 2012 è stato eletto al suo posto l'ex rettore del Politecnico di Milano e della Luiss di Roma, Adriano De Maio, uno che non le manda a dire. L'ex rettore mette nero su bianco il pensiero che Rullani aveva formulato in modo elegante: Area science park ha pochi cervelli in transito; troppi in affitto permanente; non ha un profilo riconoscibile; non si sa esattamente quale sia la sua specializzazione; è poco incisiva nei rapporti con l'estero; e, dulcis in fundo, produce pochi utili. Il senso non potrebbe sfuggire a nessuno: ci siamo seduti, dice De Maio.

Immediatamente dopo la diagnosi è arrivata la terapia d'urto: un pacchetto di contromisure, una sorta di business plan, il nuovo piano d'azione dell'Area science park. Che ha il pregio di chiamare a raccolta gli enti locali «che devono vedere il parco come il fattore principale dello sviluppo del territorio». Un punto chiave sostenuto anche da Giovambattista Ravidà, neo presidente del Mediocredito regionale ma soprattutto ex direttore generale della Cassa di Risparmio di Trieste ed ex assessore tecnico al Comune della città giuliana. È dal '99, l'anno in cui arrivò a Trieste, che Ravidà continua a porre sommessamente una domanda: ma tutto questo apparato di ricerca a che cosa serve? L'idea di Ravidà, tanto per non smentire Rullani e De Maio, è che il Dna della ricerca sia sganciato dal mondo delle imprese. Tutti d'accordo, dunque. Almeno per una volta. Co-innovazione è la parola d'ordine. Ma forse anche co-gestione, come ha implicitamente ammesso De Maio con la chiamata a raccolta delle istituzioni, troppo spesso in ben altre faccende affaccendate.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi

301 Moved Permanently

Moved Permanently

The document has moved here.