Economia

Lavoro, il boom del part time involontario (raddoppiato in 10 anni)

  • Abbonati
  • Accedi
tempo forzatamente parziale

Lavoro, il boom del part time involontario (raddoppiato in 10 anni)

Il lavoro è sempre più part time, volenti o nolenti. Soprattutto nolenti: i dati Istat 2014 evidenziano come il 63,6% dei lavoratori a tempo parziale rientri nella categoria della «part time involontario», cioè di «quanti dichiarano di svolgere un lavoro a tempo parziale in mancanza di occasioni di impiego a tempo pieno».

La quota, equivalente a poco più di 2,6 milioni di lavoratori, è pari a oltre il doppio degli 1,023 milioni registrati nel 2004. Una fiammata improvvisa? Non proprio: il fenomeno ha guadagnato sempre più spazio nel tempo parziale, salendo dal 36% di 10 anni fa al tetto del 60% già sfondato nel 2013 (61,3%) e “perfezionato” dal risultato 2014.

La crisi ha poi fatto da volano, perché la formula del tempo parziale come ripiego contiene i costi del lavoro e permette una maggiore flessibilità: «Dal 2008 è soprattutto questa forma di part time che sta crescendo. È definita appunto involontaria perché il lavoratore o la lavoratrice avrebbero preferito un lavoro a tempo pieno ma hanno trovato solo un lavoro part-time» spiega al Sole 24 Ore Linda Laura Sabbadini, del Dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali dell'Istat.

Un tampone anti-crisi. Mentre in Germania e Olanda...
Insomma: un tampone che ha poco a che spartire con il principio stesso del tempo parziale come scelta autonoma. Soprattutto se si considera che la media europea non va oltre il 25,5%, meno della metà di quella italiana. «Negli ultimi anni più che rappresentare una scelta di conciliazione portata avanti dai lavoratori la crescita del part time è stata in realtà una delle strategie delle aziende per far fronte alla crisi» dice Sabbadini. Non è un caso se, nei paesi dove il part time mantiene la sua funzione d'origine, la fetta di “involontario” si riduce a margini ben inferiori. È il caso di due modelli come Germania e Paesi Bassi, dove le percentuali si riducono di quattro e sette volte tanto rispetto al 64,1% della Penisola: l'incidenza pari al 13,5% tra le lavoratrici tedesche e ad appena l'8,5% tra quelle olandesi, arruolate in uno tra i sistemi più flessibili dell'area Ocse.

Quasi 2 milioni di donne nel part time “involontario”
Del resto, anche le percentuali che assegnano una maggiore presenza maschile nel part time involontario (71,5% contro il 58,1% nella forbice 2004-2013) vanno lette in uno sfondo ben definito: la quota di uomini è maggiore perché il campione è molto più ridotto. Se si guarda ai valori assoluti, i lavoratori part time “involontari” di sesso maschile sono infatti 806mila. Neppure la metà di una quota rosa pari a 1 milione e 797mila donne, in linea con il rapporto di 1/3 che si registra nel part time in generale (poco più di un milione gli uomini e oltre tre le donne, per il totale di quattro milioni del 2014). Lo precisa Sabbadini: «Il part-time involontario è più elevato tra le donne: in valori assoluti gli uomini sono meno della metà». In generale, conclude Sabbadini, «il part time riguarda più le donne perché lo scelgono maggiormente per conciliare i tempi di vita. Gli uomini usano meno il part time a fini di conciliazione dei tempi di vita e per questo la quota di involontario è più alta perché sono di meno quelli che lo svolgono».

© Riproduzione riservata