Economia

A Grottaglie, dove gli aerei nascono tra gli ulivi

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viaggio nell’italia che innova

A Grottaglie, dove gli aerei nascono tra gli ulivi

L’innovazione e Domenico Modugno sono due nozioni apparentemente inconciliabili, ma il Mimmo nazionale avrebbe allargato le braccia e rivolto lo sguardo al cielo se qualcuno gli avesse detto che a Grottaglie, 80 chilometri dalla sua Polignano a Mare, il blu si sarebbe dipinto ancor più di blu e volare oltre che un verbo e il refrain di una canzonetta sarebbe diventata una profezia che si autoavvera, con pezzi di fusoliera del Boeing 787 Dreamliner avvolti nella fibra di carbonio da 635 operai e ingegneri - età media 32 anni - tutti pugliesi purosangue.

Ora, al posto di una distesa infinita di ulivi, molti dei quali ripiantati sulla Brindisi-Taranto, si rincorrono una serie di enormi hangar. A colpire è l’immensità di questi luoghi, l’aria rarefatta (umidità e temperature controllate per non deteriorare il carbonio) e il silenzio quasi impenetrabile, come se chiudendo gli occhi ci si trovasse ancora in una foresta di ulivi.

A troneggiare enormi pezzi di carlinga, tre volte a settimana caricati su un Boeing 747 cargo simile a una balena volante che fa la spola tra la pista di Grottaglie e il South Carolina. A Charleston i singoli componenti costruiti in 11 stabilimenti (Giappone con tre fabbriche, Corea del Sud, Italia con due, Grottaglie e Foggia, e cinque negli States) vengono assemblati.

Un’alleanza planetaria con l’obiettivo di spalmare e frazionare i costi sui diversi partner. Le bobine di carbonio, materia prima fondamentale nella costruzione dell’aereo, arrivano dagli Usa nei porti di Taranto e Bari. Una catena tracciata come i radar con gli aerei in volo: il carbonio viaggia in container frigorifero a temperatura controllata. È sufficiente un’alterazione della temperatura per spedirlo al macero. La leggerezza dell’aereo, con conseguente risparmio di carburante e raggio d’azione più lungo, non è l’unica caratteristica del 787. La carlinga, a differenza del passato, non ha né fori né chiodi, con ovvi risparmi nella manutenzione.

Dice Angelo De Palma, l’ingegnere foggiano responsabile della produzione: «Nel 2007, a cinque anni dall’accensione della fabbrica, c’è stata l’inversione a U tra tecnici stranieri e italiani: finito il periodo di addestramento, la cloche di comando è passata a noi».

Molti esperti di aeronautica credevano che l’investimento fosse votato all’insuccesso. Far lavorare in sincronia 11 stabilimenti produttivi sparsi in tre Continenti comporta uno sforzo logistico non indifferente. Ci sono stati momenti critici. Per tenere i picchi di produzione richiesti da Boeing (12 coppie di fusoliere al mese), l’anno scorso l’azienda ha ingaggiato dei lavoratori interinali rumeni, poi rimpiazzati da operai specializzati italiani. Ora è tutto tornato alla normalità, con ritmi di produttività su tre turni, notte compresa, e conseguente abolizione del lavoro nel fine settimana.

Le storie di questi ragazzi hanno traiettorie simili, sempre in bilico tra l’attaccamento alla propria terra e la ricerca di lavoro al nord o all’estero. Emanuela De Giuseppe, 35enne di Lecce sposata con un dipendente di una ditta esterna, dopo la laurea e uno stage alla Procter & Gamble era pronta a emigrare. «Poi - racconta - è arrivata la chiamata in Alenia come tecnologo alla linea di montaggio. Il ricordo più bello? I tre mesi di formazione a Charleston».

Tra i paesani di Grottaglie quella che una volta si chiamava Alenia Aermacchi (ora è Leonardo-Finmeccanica) è come una persona di famiglia. Francesco Galiani, 32 anni e da dieci anni in fabbrica, ha trovato moglie avvolgendo pellicole di carbonio. Appena si fa vedere in uno dei caffè del paese, Francesco è sommerso di domande. «Ma li vendete questi aerei?» lo prendono in giro gli anziani. «Eccome se li vendiamo» rassicura il direttore dello stabilimento Fernando de Maria, un napoletano in blazer blu che lavorava a Grottaglie all’alba del 2002, quando le ruspe sbancavano i primi alberi. Per lui questi hangar sospesi tra gli ulivi sono il «laboratorio dell’aerospazio» in terra pugliese, qualcosa di più di una bandierina nella catena di valore mondiale di uno dei giganti dei cieli. Sarà per questo che sembrano tutti più o meno «felici - come cantava Modugno - di stare quaggiù».

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