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Il pensiero pugliese sull’innovazione

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verso l’incontro di bari

Il pensiero pugliese sull’innovazione

Aerei biposto in fibra di carbonio con le ali smontabili e il paracadute incorporato al costo di una Porsche a Monopoli; acceleratori lineari di protoni che guariscono dai tumori sparando fucilate millimetriche sulle cellule malate a Ruvo di Puglia; mani bioniche immerse nella cagliata che lavorano e impacchettano mozzarelle e burrate a Corato; satelliti chiavi in mano montati pezzo su pezzo a Mola di Bari. Non è uno sketch futurista di Lino Banfi, e neppure la homepage di una nuova Disney world. Questa è la mappa del pensiero meridiano pugliese, una cartografia dell’innovazione che mette insieme i presocratici e la fisica nucleare, il sapere politecnico (“de’ remi facemmo ali”, è il motto del Politecnico di Bari) e gli spiriti bollenti di insaziabili neolaureati che le ali le progettano a casa loro invece di montarci sopra per emigrare a Londra.

Ali e luce sono le stimmate dell’innovazione pugliese, una regione distesa nel Mediterraneo orientale, a poche ore di mare dai Balcani. Le ibridazioni appartengono all’antropologia di questo popolo, e non c’è miglior divulgatore dell’intreccio tra saperi di Vito Albino, enciclopedico dell’innovazione, presidente del distretto della Meccatronica e prorettore con delega alla ricerca del Politecnico di Bari. Devono passare i primi 91 anni del Novecento prima che Bari abbia un Politecnico, che quest’anno compie un quarto di secolo. Una necessità di cui a Milano e Torino si dibatteva inutilmente all’inizio del secolo breve. Albino squaderna con il metodo dell’ingegnere storia e storie dell’innovazione. Un narratore nato, direbbe Nichy Vendola, per dieci lunghi anni governatore-imperatore di cui tantissimi si sentono orfani.

Tutto inizia quando un brillante fisico del Centro ricerche Fiat di Bari, Mario Ricco, inventa il common-rail, la tecnologica che rivoluzionerà la trazione sui motori diesel. Fiat cede il brevetto alla tedesca Bosch che apre una fabbrica a Bari con oltre duemila dipendenti. Arriva anche la Getrag, trasmissioni per auto, che si somma alla presenza della Magneti Marelli. Nasce un circolo virtuoso che origina multinazionali autoctone come la Masmec di Michele Vinci (robotica per automotive e biomedicale) e la Mermec di Vito Pertosa (automotrici diagnostiche per il sistema ferroviario vendute in tutto il mondo).

La Regione è sempre munifica di finanziamenti (18 bandi per l’innovazione e quasi un miliardo di finanziamenti soltanto nel biennio 2009-2010). Pertosa, non pago di avere in azienda 500 ingegneri, vola alto e crea un fondo di capital venture, la Angelo investments. Blackshape, l’aereo ultraleggero in fibra di carbonio che si trasporta come un gommone nel carrellino dell’auto, e la Sitael, satelliti, che nasce dall’Alta di Pisa, sono due creature di Angelo Investments. Alla radice di queste aziende ci sono sempre gli ingegneri (e poi fisici, matematici, biologi, farmacisti) che prima della laurea passano dai banchi, e dagli esami, di Vito Albino. Il professore non contempla l’autocelebrazione. E subito allarga lo sguardo sul futuro prossimo venturo: «Ha ragione il professor Domenico La Forgia, l’ex rettore dell’università del Salento al quale il governatore Michele Emiliano ha affidato la pratica innovazione: non possiamo più andare avanti con le piccole scoperte, ora ci vuole qualcosa di dirompente su scala internazionale, come lo fu il common-rail».

I soldi ci sono, assicura il professor La Forgia: «Almeno un paio di miliardi del Por 2014-2020 di cui non è stato ancora speso neppure un centesimo». I quattrini sono la precondizione. Serve il terreno adatto, che qui è iperfertilizzato, e la tripla S, che sta per Smart specialization strategy. Albino la sintetizza così: «Se non c’è una strategia precisa, è inutile pompare soldi pubblici». Le politiche per l’innovazione devono fare i conti con i limiti intrinseci di ogni modello politico regionale, soprattutto in Italia. Molte fabbriche campioni dell’innovazione hanno il vantaggio (per loro) e lo svantaggio (per i pugliesi) di essere stand alone, cittadelle autosufficienti che possono calare il loro modello ovunque nel mondo. Albino le chiama “aziende con la valigia”. La General Electric si è già affacciata a Ruvo di Puglia, dove Leonardo Diaferia lavora all’acceleratore lineare di protoni. «Avete bisogno di noi?», hanno detto suadenti gli emissari partiti dal Connecticut.

I guai cominciano quando dalle imprese si passa alle organizzazioni complesse, a partire dai consorzi e dai distretti. Il Medis, il distretto della Meccatronica pugliese, conta una sfilza di soci autorevoli, da Marmec a Bosch, tutti irrimediabilmente divisi. Ci sono troppi interessi in contrasto per condividere ipotesi di ricerca comuni. È come se il pensiero meridiano che la Puglia riesce a dispiegare nelle singole imprese si ottenebrasse quando si tratta di far marciare sistemi complessi. Scartato dal neo governatore Emiliano si sente Cesare de Palma, un giovane e brillante ingegnere presidente del distretto produttivo della meccanica pugliese (110 imprese iscritte), una delle 17 associazioni d’impresa create in epoca vendoliana: «Non sappiamo neppure se sopravviveremo». Tutti, indistintamente, ammettono di essere debitori degli Its, gli istituti tecnici superiori che a Bari e Brindisi sfornano tecnici per la meccatronica e l’aerospaziale, un corso di due anni post diploma con 1.200 ore in aula e 800 di stage in azienda che meriterebbe ben altra pubblicità e un nome più attraente (oltre la metà dei diplomati trova lavoro nel giro di pochi mesi). Colpa del Miur e dei suoi tecnocrati con un lessico ridotto agli acronimi. Gli stessi tecnocrati, sottolineano a Bari, che non si decidono a licenziare il piano nazionale della ricerca, lo strumento propedeutico ai singoli progetti di innovazione. Una rivincita del pensiero meridiano. Che rispedisce a Roma, non prima di averlo capovolto, il motto del Politecnico: dove le ali tornano remi.

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