Economia

Dossier Smart working per attraversare la quarta rivoluzione industriale

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    Dossier | N. 14 articoliSmart Working

    Smart working per attraversare la quarta rivoluzione industriale

    Da casa, da un hub dell'azienda o dal cliente, lo smart working è quella frontiera del lavoro che ha generato in Italia, negli ultimi mesi, un dibattito molto vivace. Con un minimo comun denominatore che ricordano pressoché tutti i manager delle risorse umane quando ne parlano: lo smart working mette le persone al centro. Deve essere anche per questo che nella fase di sperimentazione l'adesione dei lavoratori arriva con grande entusiasmo, con tanto di benedizione sindacale.

    Quasi sempre l'applicazione dello strumento passa infatti da un percorso condiviso con i rappresentanti dei lavoratori: non vi è schieramento che ravvisi ombre nello strumento.

    Ed è anche per questo che di smart working non parlano più solo i contratti aziendali ma cominciano a parlare anche i negoziati per i contratti collettivi nazionali di lavoro.

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    E non solo di settori tecnologicamente molto avanzati come possono essere le telecomunicazioni, la finanza o le assicurazioni. I sindacati dei calzaturieri e dei tessili nella loro piattaforma scrivono di voler esplorare la possibilità di attivare forme di lavoro intelligente.

    “Oggi di smart working non parlano più solo i contratti aziendali, ma cominciano a parlare anche i contratti collettivi nazionali”

     

    Le storie d'azienda che raccontiamo in questo dossier, così come le ricerche che sono state fatte coinvolgendo i lavoratori mostrano il profondo cambiamento culturale che accompagna l'uso dello smart working.

    Facilitato o forse accelerato dalle tecnologie che oggi non richiedono più, sempre la presenza fisica ogni giorno al lavoro.

    Racconta un banchiere di lungo corso che il bancario con la camicia bianca e le maniche tirate su per non sporcarle d'inchiostro, chiuso nel suo ufficetto a passare carte, non esiste più. Ed esiste sempre meno quella dell'impiegato allo sportello perché le transazioni e i bollettini, ormai, al di sotto di una certa età, si pagano on line. C'è, al contrario, sempre di più un bancario che con il blackberry in una mano e il laptop nell'altra va dai clienti, lavora in azienda oppure in treno sulla via del ritorno. Non è che un esempio questo che si può però trasferire con un po' di fantasia o forse di realismo su molte professioni .

    Il risultato, a sentire i capi, è che i lavoratori sono più responsabilizzati, non sono assillati dalle ansie dell'orologio o, talvolta, della lontananza fisica dalle vicende personali. L'organizzazione del lavoro naturalmente cambia e, in questo, lo sforzo maggiore viene richiesto ai capi che devono lavorare più sulla qualità, sulla delega e sulle competenze che non sulla quantità. E devono cercare di trovare le giuste dosi – in genere non si superano mai i due giorni alla settimana - e i giusti equilibri per far sì che chi fa smart working lavori da remoto sì, ma continui a partecipare alla vita aziendale.

    Lo sforzo è culturale ma evidentemente anche economico perché le aziende devono poi pensare di attrezzare i dipendenti per lavorare da remoto. Le vie sono tante, la prima che viene in mente è quella di una grande banca che con un accordo sindacale ha deciso di fornire a tutti i suoi dipendenti un laptop per cominciare a pensare smart.

    L'Italia non può certo dirsi un paese all'avanguardia ma adesso che il percorso legislativo è stato compiuto e che si moltiplicano le sperimentazioni, le storie e i modelli, possiamo immaginare di attraversare la quarta rivoluzione industriale anche in compagnia dello smart working.

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