Economia

«Noi dell’Ilva pronti a ripartire»

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viaggio nello stabilimento

«Noi dell’Ilva pronti a ripartire»

La fabbrica c’è sempre, nella sua integrità. L’impresa c’è, ma il suo profilo non è ancora completo. Negli altiforni la colata di ghisa continua ad alimentare il ciclo integrale. La componente industriale e produttiva dell’acciaieria è anchilosata e ammaccata, ma nella sostanza è rimasta inalterata. Invece, negli uffici il lavoro impostato in questi anni sui modelli organizzativi rimane ancora da ultimare. I processi aziendali hanno contorni più nitidi e formalizzati, ma molto è ancora da fare

E il senso di incertezza, che qui tutto circonda, ha reso ogni cosa una fatica di Sisifo, nel tentativo di fare dell’Ilva un organismo complesso e pluricellulare, dal potente animale da produzione elementare e monocellulare che è sempre stata. Un meccano da costruire, un pezzo alla volta. «Quando sono arrivato – racconta Antonino Gambuzza, direttore uscente delle operations, in azienda dal marzo 2015 al giugno 2016 – l’organizzazione non prevedeva un coordinamento centrale di molte funzioni operative. Basti pensare che il direttore dello stabilimento di Taranto aveva oltre venti riporti diretti. Abbiamo modificato l’organizzazione focalizzando le funzioni operative sulle attività di business, per esempio sicurezza e produzione. Abbiamo costituito un coordinamento centrale delle attività di supply chains, qualità, manutenzione e ingegneria».

A quasi quattro anni dai primi arresti e dai primi sequestri della magistratura tu visiti l’Ilva e, in mezzo alle strutture ciclopiche del maggiore impianto europeo e negli uffici da cui impiegati e dirigenti sovraintendono al suo funzionamento, ti rendi conto degli effetti reali e psicologici e delle trasformazioni concrete e immateriali provocate dal susseguirsi degli shock esterni. Il primo è appunto la necessità, derivante dalla emancipazione coatta da un gruppo più ampio, di trasformare l’Ilva in una impresa autonoma. Abbozza il primo tentativo Enrico Bondi: dal giugno 2013 al giugno 2014 cerca di disegnare le funzioni aziendali di una impresa “espiantata” dal gruppo Riva e catapulta in prima linea le seconde linee dirigenziali, in sostituzione dei collaboratori stretti della famiglia lombarda, molti dei quali arrestati.

Il commissariamento è stato un atto “contro natura”, in particolare per l’estromissione dalla gestione e per la neutralizzazione dei diritti dei proprietari, in quel momento nemmeno sottoposti al primo grado dei processi? Comunque sia, Bondi seleziona dei quarantenni che prendono il posto di ultra-cinquantenni, la cui capacità manageriale era stata peraltro sopita dai classici meccanismi di delega padronale delle imprese familiari, tale per cui non a caso si era costituita una rete parallela di “fiduciari” dei Riva.

Dopo Bondi, con il Governo Renzi tocca al management costruito intorno a Massimo Rosini, selezionato nel febbraio del 2015 dai tre commissari Piero Gnudi, Enrico Laghi e Corrado Carrubba: l’obiettivo – secondo il suggerimento del consigliere di Palazzo Chigi Andrea Guerra - è risanarla in tre anni, farne una azienda vera e propria e poi venderla. In questo caso, sono manager extra-siderurgici. Che, appunto, provano a managerializzare dall’interno l’impresa. «Un elemento che non ha aiutato – dice ancora Gambuzza – era l’assenza di un sistema operativo moderno in grado di garantire l’istantaneità e la precisione del flusso informativo».

In questi mesi – nonostante l’abbandono del piano Guerra-Renzi e dunque la perdita per il management del potere di un mandato forte, la caduta dell’Ilva nell’amministrazione controllata e la messa all’asta - si prova a procedere in questa direzione, essenziale qualunque sarà il destino dell’Ilva. «La reportistica industriale, come accade in un sito meramente produttivo – nota Antonio Bufalini, ex Ast di Terni ora a capo delle operations dell’Ilva – è sempre stata fatta bene. Non c’era uguale consapevolezza per la reportistica economica. In questo, negli ultimi due anni, è stato realizzato un grosso lavoro, che va ancora migliorato».

Chiunque sarà il prossimo proprietario dell’Ilva, si troverà dunque a gestire una Ilva in cui, sotto il profilo aziendale, moltissimo è ancora da fare, ma parecchio è stato fatto. «Il controllo di gestione – osserva Alessandro Zurzolo, ex Poste Italiane, chief financial officer di Ilva dal 1° febbraio di quest’anno – è stato radicalmente modernizzato e va ancora migliorato. Il budget esisteva, ma non aveva la pervasività e la puntualità attuali. Adesso, l’8 di ogni mese abbiamo i dati sul mese precedente con i riflessi sulla cassa, che in una impresa in crisi come questa è un indicatore fondamentale».

Un’altra novità, introdotta alla fine del mese di febbraio, è la policy del credito: «Abbiamo definito un sistema di assegnazione del rating alla clientela. Ora sappiamo quali rischi ci assumiamo nella gestione di pagamenti e incassi. Per una azienda come questa non è poca cosa», continua Zurzolo.

L’Ilva ha una storia precisa. Ai tempi della Italsider, l’azienda era inserita nel reticolo Finsider-Iri. Le funzioni di impresa più sofisticate erano condivise o eterodirette dalle società pubbliche. Il management apparteneva all’industria di Stato. Taranto si poteva concentrare sulla sua ciclopica funzione: produrre, produrre, produrre. Nel periodo dei Riva, l’Ilva apparteneva a un gruppo familiare: le funzioni erano centralizzate a Milano e, di nuovo, agli impianti spettava soltanto il compito di produrre. In questi quattro anni, l’Ilva è stata sottoposta a una pressione significativa: la magistratura ha arrestato i Riva e i loro dirigenti e ha sequestrato gli impianti; la politica ha commissariato l’azienda. In questi quattro anni è successo di tutto. Calo della produzione, perdita di alcuni clienti strategici, crisi della finanza di impresa. Ma anche l’impostazione e la definizione, per quanto non lineare ma a singhiozzo, di un profilo identitario complesso da impresa a tutto tondo. In un clima esterno dato dal susseguirsi dei colpi di scena e dall’involuzione in società sottoposta a amministrazione straordinaria, l’Ilva è riuscita a passare dalle 13,5 migliaia di tonnellate al giorno del 2015 (4,88 milioni di tonnellate all'anno) alle 17 migliaia di tonnellate al giorno di questi ultimi mesi, che danno una prospettiva per quest’anno di 6 milioni di tonnellate.

Da inizio del 2015, sono stati sbloccati alcuni cantieri strategici: a Taranto l’adeguamento e la riattivazione dell’Afo 1, l’implementazione dei lavori di copertura dei nastri e delle torri, il montaggio del nuovo mega filtro in acciaieria, il miglioramento con una nuova tecnologia della fase di movimentazione delle materie prime che arrivano via mare, l’apertura di due nuove discariche e, a Cornigliano, l’avvio produttivo della linea 5 di zincatura.

Negli ultimi cinque mesi sono state fatte 70 campionature per acciai da destinare all’automotive industry, tanto che sono ripresi i contatti con Fca, interrotti quando il gruppo guidato da Sergio Marchionne aveva smesso di approvvigionarsi a Taranto per Melfi. Ora dalle montagne di carta predisposte da avvocati e consulenti per le offerte emergerà il nome della cordata che, entro fine anno, prenderà possesso dell’Ilva nella sua interezza. Chiunque sia – Arcelor Mittal con Marcegaglia o Cdp con Arvedi e Del Vecchio – dovrà occuparsi di una acciaieria che tutto sommato funziona, di una patrimonializzazione depauperata, di una impresa a tutto tondo nei fatti ai suoi primi vagiti e di 15mila cuori – 12 mila a Taranto, altri 3mila a Cornigliano, a Novi Ligure e in altre sedi – da riattivare .

L’incertezza di questi quattro anni è stata tremenda. La paura non aiuta a lavorare. Il problema è stato, nei momenti più difficili, coinvolgere tutti. Una impresa è composta soprattutto dagli uomini che la fanno vivere tutti i giorni. Benedetto Valli, direttore dell’area laminazione a caldo e a freddo, indica con precisione e chiarezza da ingegnere le fasi della zincatura. Tutto intorno un vento sottile che arriva dal mare rende meno accecante il sole del pomeriggio di Taranto. A Valli, a un certo punto, brillano gli occhi: «Qui si trovano passione e professionalità. Chiunque venga, noi ci siamo».

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