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L’export punta ancora sugli Stati Uniti

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rapporto ice

L’export punta ancora sugli Stati Uniti

(Afp)
(Afp)

Il 2015 ha segnato, a livello globale, un rallentamento nella crescita degli scambi commerciali di beni, più lenta rispetto alle previsioni e inferiore alla media dei 20 anni precedenti. Eppure, le imprese italiane hanno navigato in senso contrario, rafforzando lo scorso anno il proprio livello di internazionalizzazione, come evidenzia il «Rapporto Ice 2015-2016 sull’Italia nell’economia internazionale» presentato ieri a Milano insieme all’Annuario statistico dell’Istat su «Commercio estero e attività internazionali delle imprese».

Le esportazioni di beni e servizi delle aziende italiane, aumentate del 4,3% rispetto al 2014, hanno superato i 413 miliardi di export e anche il saldo commerciale è migliorato (con un attivo di 45,2 miliardi). È aumentato il numero di imprese esportatrici (214mila), che hanno venduto all’estero prodotti per un valore medio complessivo di 1,9 milioni. E se la quota di esportazioni italiane sull’export globale è rimasta stabile (al 2,8%), questo dato è comunque in leggera crescita sul 2013 e arriva dopo sei anni di contrazione, come ha fatto notare il presidente dell’Agenzia Ice, Michele Scannavini. Più incerto lo scenario per il 2016, che nel primo trimestre ha registrato una flessione dello 0,4% per l’export italiano, anche se le previsioni dlele imprese, secondo il presidente dell’Istat Giorgio Alleva, restano positive.

A trainare la corsa dell’export di prodotti made in Italy nel 2015 è stato soprattutto il mercato Nord Americano. Il saldo positivo verso quest’area del mondo è infatti salito da 18 a 24 miliardi di euro, con una crescita di export verso gli Stati Uniti del 21%, la performance migliore nella top 20 dei Paesi verso cui l’Italia esporta i suoi prodotti. L’Italia, viceversa, è il secondo Paese fornitore degli Usa. E se nel 2015 gli Stati Uniti si sono confermati la terza destinazione per i prodotti made in Italy, l’obiettivo è portarli al secondo posto in tempi brevi.

Un risultato frutto di fattori come il rafforzamento del dollaro sull’euro e della ripresa dell’economia americana, ma anche, ha sottolineato Scannavini, delle politiche di promozione del made in Italy su quel mercato sostenuta dal Governo, che ha investito 60 milioni solo nei settori della moda e dell’agroalimentare, oltre a iniziative per altri settori. «È il più grande sforzo di promozione fatto in un Paese estero ed è destinato a proseguire», ha ricordato Maurizio Forte, direttore dell’Ufficio Ice di New York, citando anche l’apertura di due nuovi desk per l’attrazione di investimenti diretti in Italia: quello di Manhattan, che inauguara lunedì prossimo, e quello di San Francisco, in arrivo entro l’anno.

QUOTE DI MERCATO DELLE ESPORTAZIONI ITALIANE PER PAESI 2015
(Fonte: elaborazione Ice su dati Fmi-Dots e, per Taiwan, Taiwan Directorate General of Customs)

Bene dunque l’impegno del Governo che, ha fatto notare la vice-presidente per l’Internazionalizzazione di Confindustria, Licia Mattioli, ha registrato un vero e proprio cambio di passo da due anni a questa parte. Tuttavia, per conolidare l’efficacia di queste misure, ha aggiunto Mattioli, è necessario dare loro continuità. Ci prova il ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda, che ha annunciato un prossimo stanziamento di ulteriori 50 milioni (che verrebbero dirottati dal piano di finanziamento per le Smart Cities) destinati alla internazionalizzazione delle imprese. «Quest’anno parte il programma Atti potenziali per aiutare le piccole imprese – ha spiegato il ministro – affiancandole nei loro programmi finanziari, piani industriali e di industrializzazione».

DOVE ESPORTANO LE IMPRESE ITALIANE

Di azioni a sostegno dell’internazionalizzazione ci sarà sempre più bisogno, viste le tante incertezze con cui si è aperto il 2016, dal rallentamento dei mercati emergenti, a quello dell’export verso gli stessi Stati Uniti, fino alla Brexit. «Cresce il valore in euro delle merci esportate dall’Italia – ha fatto infatti notare Giorgio Alleva – ma il commercio mondiale di beni misurato in dollari nel 2015 è fortemente diminuito rispetto al 2014». In questo quadro, ha aggiunto, «il contributo maggiore alla crescita del Pil è da attendersi dall’aumento degli investimenti diretti da e per il nostro Paese che dall’aumento delle esportazioni». Ma l’Italia è appena al 18° posto nella classifica dei Paesi capaci di attrarre investimenti esteri. Un incentivo può arrivare da iniziative come il Comitatoper l’attrazione degli investimenti esteri, finalizzate a semplificare le procedure burocratiche, come ha spiegato Stephen Wood, Development Director del gruppo australiano Westfield che ha investito 1,4 miliardi in un centro commerciale alle porte di Milano.

Resta molto lavoro da fare anche per potenziare il livello di internazionalizzazione delle imprese: è aumentato il numero, ma resta ridotto il valore che generano all’estero e, in confronto ai principali competitor internazionali, l’Italia è lontana dai volumi di export di Germania, Francia e Gran Bretagna. Inoltre, ha fatto notare Scannavini, «siamo forti nelle zone di prossimità, ma le migliori opportunità arriveranno da Usa, Giappone e Cina, dove siamo ancora deboli».

Inoltre, le dimensioni ridotte restano un ostacolo all’internazionalizzazione: «Occorre un cambio culturale – ha concluso Scannavini – verso stratgie di aggregazione e apertura ai capitali». Così come sarà decisiva la capacità delle imprese e del sistema Paese che le sostiene, di essere flessibili e rapidi nell’individuare nuovi sbocchi capaci di compensare le crisi di alcune aree

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