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Dossier Banda ultralarga lievito dello sviluppo

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    Dossier | N. 9 articoliRapporto Sviluppo sostenibile

    Banda ultralarga lievito dello sviluppo

    François de Brabant
    François de Brabant

    Basta guardare ai casi concreti. Basta far riferimento, per esempio, a quelle startup made in Sud che, a dispetto di infrastrutture “fisiche” (strade, autostrade, poli logistici) di un’altra epoca o assenti, hanno saputo farsi largo e ritagliarsi ambiti di business e notorietà. E così si pensa a un Sud arretrato e si finisce per imbattersi, per esempio, in una Puglia che ha aziende consolidate come la quotata hi-tech Exprivia o startup di successo come Nextome (che ha creato un app per la navigazione indoor e suscitato interessi da Fca a Finmeccanica) che hanno fatto delle infrastrutture immateriali il loro plus competitivo. Certo, c’è anche chi pensa che sia sbagliato fare il “racconto dell’eccezione” perché il digitale deve diventare patrimonio di tutti gli italiani e di tutti gli europei.

    Di base c’è un fil rouge che unisce questi due estremi: la consapevolezza che la digitalizzazione e le “infrastrutture abilitanti” – fra le quali il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, nel presentare il Piano Industria 4.0 ha annoverato anche la rete a banda ultralarga – siano il volàno imprescindibile per lo sviluppo. Il che significa propulsore di nuova economia, ma anche volàno per la difesa attiva di un territorio e della sua comunità, con la difesa dallo spopolamento (demografico e imprenditoriale), dal degrado e dalla povertà.

    «In pochissimo tempo ci stiamo giocando il futuro», dice François de Brabant, profondo conoscitore dell’universo Ict in Italia e Senior advisor di Ernst & Young. Un paio d’anni fa proprio a EY de Brabant ha ceduto la sua società di consulenza Between: una realtà di primissimo piano in ambito digitale e Ict.

    «Oggi – afferma de Brabant – il cittadino consumatore ha molto più potere che in passato». Un potere che passa attraverso la capacità delle nuove tecnologie di ridurre o eliminare barriere di spazio e tempo. «Nel 1990, e quindi 9mila giorni fa, nasceva Internet che ha cancellato il costo della distanza. Tremila giorni fa un signore di nome Steve Jobs con gli smartphone passava all’eliminazione delle distanze». Ora, per de Brabant, Internet e le nuove tecnologie mettono tutti dinanzi a «una livella: chi rimarrà indietro rischia di pagare un dazio fin troppo pesante per il futuro».

    Le parole di de Brabant potrebbero apparire come uno di quei pessimistici vaticìni che hanno sempre popolato i momenti di evoluzione. È però tutto da dimostrare che la qualità della vita e dei servizi sia uguale, per esempio, fra chi ha un e-government avanzato e i centri rimasti indietro. Smart health, Smart mobility: tutto significherà sviluppo per chi abbraccerà questi modelli e arretratezza per chi non lo farà. E alla base ci sono i fattori abilitanti: infrastrutture a banda ultralarga e servizi. «Settare il problema è la prima cosa da fare. Ma poi – conclude de Brabant – è necessario che la sensibilità sul tema, che per fortuna io vedo crescente in questo Governo, sia trasferita e fatta propria dai livelli più estesi della pubblica amministrazione, per esempio da quegli 8.200 sindaci dalle cui scelte dipende molto di questo processo».

    A questo punto una domanda: il digitale può, e in che termini, essere leva di riscatto per le città? Buon senso ed esperienza suggerirebbero di sì, e per Ernst & Young ci sono anche evidenze numeriche a questa tesi. EY ha messo in correlazione il suo Smart city index (che misura il grado di innovazione digitale nelle città) con l’indicatore della qualità della vita del Sole 24 Ore.

    E in effetti la tesi non fa una grinza: lo Smart city index superiore alla qualità della vita lascia intendere che la città stia cercando di riscattarsi e di migliorare la propria vivibilità con le nuove tecnologie. Torino, Lecce e Bari sono in testa in questa speciale classifica, guadagnando oltre 50 posizioni: ad esempio Torino è 55esima nell’indice qualità della vita e terza nello Smart city index; Lecce è rispettivamente 105esima e 52esima, Bari 88esima e 40esima. Dall’altra parte, fanalino di coda sono soprattutto città sarde e marchigiane, che perdono oltre 50 posizioni passando da una classifica all’altra (Tempio Pausania ne perde addirittura 88, passando dalla sesta alla 94esima).

    Lo studio di EY indica anche forti tendenze territoriali. Ci sono in particolare due aree che stanno investendo più di altre sul digitale come elemento di sostenibilità: il Sud in generale e la Pianura Padana, mentre il Centro Italia, la Sardegna, il Triveneto e l’estremo Nord-Ovest (Piemonte – Torino a parte – e Liguria di Ponente), appaiono “sedute” sul loro benessere e non investono in tecnologie.

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