Economia

Giovani nella morsa della sfiducia

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formazione e lavoro

Giovani nella morsa della sfiducia

Tempi duri per i giovani, ma per gli italiani – e in particolare per gli stranieri residenti nel nostro Paese – le cose sembrano andare un po’ peggio che per i loro coetanei degli altri Paesi europei. A fornire dati e confronti è una ricerca della Fondazione Leone Moressa che, per 15 Paesi Ue, ha considerato la situazione formativa e i percorsi lavorativi e di studio a quattro anni dal diploma.

«Le possibilità – osservano i ricercatori – sia per gli autoctoni sia per gli stranieri sembrano variare in base al Paese europeo di residenza. Per quanto riguarda l’Italia si rilevano un’alta percentuale di giovani sfiduciati, una bassa quota di laureati, una forte disoccupazione e una scarsa occupazione. Tutti indicatori che finiscono per ripercuotersi sulla possibilità di uscire di casa e di costruirsi un futuro autonomo.Il ritardo si riverbera sui giovani immigrati, anch’essi con minori possibilità rispetto alle seconde generazioni residenti in altri Paesi».

Non mancano certo i numeri che l’istituto di ricerca Moressa ha elaborato sulla base delle rilevazioni Eurostat e Istat per fotografare la realtà e lo svantaggio italiano (si vedano tabelle e grafico a fianco).

Partiamo dai “Neet”. In Italia, nella fascia tra i 15 e i 29 anni si stima siano un quarto i giovani autoctoni che non studiano né cercano un lavoro (ma tra i coetanei stranieri arrivano a superare il 35%), la percentuale più alta fra i 15 Paesi europei considerati dalla ricerca (che in media arrivano rispettivamente al 13% e al 23%).

Un secondo record negativo si registra nell’istruzione superiore: dal confronto fra le quote di laureati tra i 30-34 anni gli italiani sfiorano appena il 28% (e gli stranieri il 13%) contro una media dell’Unione europea a 15 pari rispettivamente al 40% e al 35 per cento. In posizione “arretrata” (sono solo un terzo i laureati fra i 30 e i 34 anni) anche Portogallo e Germania, che però non evidenziano grandi divari tra autoctoni e stranieri.

LAVORO
Autoctoni, 20-24 anni.

Se questi gap caratterizzano la formazione, non va meglio sul versante del lavoro. Nel tasso di occupazione della fascia 20-24 anni, il primato negativo l’Italia lo lascia alla Grecia (27% contro il 24%) e in quello di disoccupazione (37%) peggio fanno solo la stessa Grecia e la Spagna (49 e 45%), mentre in Europa la media si mantiene intorno al 52% come tasso di occupazione e al 18% come disoccupazione. Anche in questo ambito i giovani stranieri residenti in Italia hanno qualche punto di svantaggio rispetto agli autoctoni.

La difficoltà a trovare un lavoro abbassa anche l’indice di emancipazione, misurato come l’età in cui i figli riescono a lasciare il nucleo familiare: se in Svezia a papà e mamma si dice addio a neppure 20 anni, in Italia si superano i 30 (gli altri coetanei mediterranei, greci, spagnoli e portoghesi, si attestano sui 29 anni).

A partire da queste basi, come si differenziano in Italia le scelte degli autoctoni da quelli dei giovani stranieri residenti? Ebbene, sul fronte della scuola gli stranieri, spinti probabilmente dalla necessità di lavorare, seguono prevalentemente cicli di studi professionali o tecnici (il 74%), mentre gli italiani preferiscono il liceo (43%).

Grazie a questa scelta più focalizzata sugli sbocchi occupazionali, gli stranieri risultano in vantaggio sul tasso di attività (74% contro 65%) rispetto ai giovani autoctoni: a quattro anni dal diploma appena uno su cinque tra i primi si dedica esclusivamente allo studio (uno su tre tra gli italiani) e uno su due lavora (il 43% tra gli italiani).

Ma per chi per non frequenta l’università (si iscrivono il 63% degli italiani e il 52% degli stranieri, con un divario anche nel tasso di abbandono) quali opportunità professionali si aprono a quattro anni dall’uscita dalle superiori? La maggior parte dei diplomati che ha trovato un posto da dipendente ha un lavoro a termine o una collaborazione. Le professioni ad alta specializzazione sembrano quasi precluse agli stranieri (solo il 12% vi accede rispetto al doppio degli italiani), impiegati invece prevalentemente nelle attività commerciali. Quanto ai settori più “aperti” ai giovani, prevalgono servizi e alloggio/ristorazione.

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