Economia

L’impresa italiana resiste in Turchia

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L’impresa italiana resiste in Turchia

La primavera è una stagione importante, per il panorama fieristico turco. Tra la fine di marzo e aprile, ogni anno, si svolgono tre delle esposizioni internazionali più importanti del Paese: BeautyEurasia, dedicata al mondo dei cosmetici, Expomed e CPhI, queste ultime due riservate ai settori della farmaceutica e del medicale. Un business strategico, quello della sanità: la Turchia ha annunciato che entro quattro anni dovrà dotarsi di almeno 70mila nuovi posti letto ospedalieri. Come ogni anno, l’Ice in questo periodo comincia a organizzare la partecipazione delle imprese italiane. Ma per l’edizione 2017, la defezione delle nostre aziende sembra pressoché totale.

A quattro mesi dal fallito golpe del 15 luglio, la Turchia scivola ogni giorno di più verso la deriva autoritaria del suo presidente Erdogan. L’economia rallenta, l’inflazione cresce, la lira turca si svaluta. Gli investitori di breve periodo hanno già lasciato il Paese.

L'EXPORT ITALIANO
Valori in miliardi di euro e crescita %, previsioni Sace

E gli italiani? «Le aziende che stavano prendendo in considerazione la Turchia oggi hanno tutte timore di venire», racconta Aniello Musella, direttore dell’Ice di Istanbul. Ma aggiunge: «Delle 700 aziende italiane stabilmente presenti nel paese e monitorate dal nostro ufficio, però, non mi risulta che nessuna abbia deciso di lasciare il mercato».

Restano le Industrie Bitossi, che producono nella città di Gebze, alle porte di Istanbul. Da luglio a oggi lo stabilimento non si è mai fermato, ma Franceso Panza, il general manager, una certa tensione non la nega: «Siamo preoccupati. Ma vivo in questo Paese da 20 anni, ho vissuto altre crisi e questo popolo mostra una grande capacità di reazione. Per cui voglio pensare positivamente».

Gli imprenditori italiani stabilmente presenti in Turchia sono più di 1.300. Da luglio qualche difficoltà operativa c’è stata: «Nelle riunioni periodiche che all’Ice facciamo con le imprese italiane - racconta il direttore Musella - è emersa una certa difficoltà ad avere un interlocutore locale stabile, soprattutto fra quelli governativi». Il procurement pubblico è una fetta importante del business in Turchia, dato che il governo è molto presente nell’economia del Paese. E le epurazioni di Erdogan tra le fila degli statali - così come degli imprenditori - turchi ha sicuramente scombussolato la mappa degli interlocutori delle nostre imprese.

I SETTORI
L'export italiano del 2015. In % sul totale (fonte Sace)

Molte aziende italiane preferiscono non parlare. Ma tra gli italiani in Turchia c’è anche chi riesce ad essere ottimista. Andrea Visigalli è il titolare di Textilium, stamperia tessile affacciata sulla sponda asiatica di Istanbul: «La nostra azienda è una manifattura tessile che vive sulle esportazioni. E la debolezza della lira turca oggi per noi è un vantaggio. Chiuderemo il 2016 continuando il trend di crescita degli ultimi anni, con un +5% rispetto al 2015. Ma se la lira turca dovesse continuare a perdere valore, nel 2017 è verosimile che il nostro giro d’affari possa addirittura aumentare».

La teoria gode del sostegno degli analisti. Spiega Philip Reuter, responsabile della regione Mediterraneo per Frost & Sullivan: «La Turchia produce soprattutto per il mercato europeo e pertanto una valuta debole non ha effetti negativi sugli investimenti esteri. L’attuale avvicinamento di Ankara alla Russia e al Medio Oriente, poi, potrebbe trasformarsi in un’opportunità in più per chi produce in Turchia a basso costo».

Meno entusiasmante è il quadro di chi oggi considera la Turchia un mercato non di produzione, ma di export: «La crisi odierna - prosegue Reuter - ha effetti sul mattone, sul turismo e sui consumi interni. Basta guardare alla Turkish Airline, azienda che è cresciuta del 500% in dieci anni, e che oggi per la prima volta finisce in pericolose turbolenze, perdendo il 25% dei passeggeri last minute e il 10% delle prenotazioni normali. Soprattutto i passeggeri provenienti dall’Europa sono calati fortemente, in media del 17%». Anche l’ufficio studi di Sace prevede turbolenze sul fronte delle esportazioni: «Nei primi otto mesi del 2016 l’export italiano verso la Turchia è diminuito del 4,2% - spiega Alessandro Terzulli, chief economist di Sace - tanto che ci aspettiamo di chiudere l’anno sotto la soglia dei 10 miliardi di euro messi a segno nel 2015. Nel medio periodo, però, il mercato turco continuerà a essere importante per le nostre imprese: non dimentichiamo infatti che per la Turchia è il decimo mercato di destinazione dell’export italiano, un mercato più grande di quello russo».

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