La Gran Bretagna ratificherà gli atti per l’adesione al Sistema Unitario dei brevetti. In altre parole, dice sì al brevetto unitario e alla prima iniziativa che va nel segno di una maggiore integrazione con gli Stati membri a 6 mesi dal voto per Brexit, ovvero per uscire dal perimetro Ue.
A pochi giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (il 25 novembre scorso) dall’adesione definitiva dell’Italia – che si stava candidando anche a sostituire Londra per ospitare il Tribunale unificato dei brevetti – arriva una “tegola” inattesa.
Ieri pomeriggio, infatti, il ministro britannico per la Proprietà Intellettuale, Baronessa Lucy Neville-Rolfe ha formalmente comunicato, al Consiglio Competitività a Bruxelles, l’intenzione del suo governo di aderire al brevetto unitario. Lo riporta il Financial Times.
«Sono molto lieta – ha detto il ministro – di annunciare che continueremo a fare parte del sistema che prevede un Tribunale per i brevetti unitari anche a Londra, per il con tenzioso che riguarda la tutela della proprietà intellettuale nel settore farmaceutico e del life science. Avrà sede nella nuova Aldgate Tower a Londra. Continueremo – ha concluso Neville-Rolfe – a fare parte del sistema di tutela unitaria dei brevetti nonostante l’esito del referendum di giugno».
L’attuale “brevetto europeo” è infatti solo un “fascio” di brevetti nazionali, concesso unitariamente da Epo (European Patent Office con sede a Monaco di Baviera) ma poi “nazionalizzato” in ciascuno Stato a cui il titolare voglia estenderlo, previa traduzione nella lingua locale (e moltipilicazione di costi).
Il Brevetto Unitario per l’intero territorio dell’Unione europea e il relativo Tribunale Unificato dei brevetti consentiranno, invece, con una sola procedura, di rendere automaticamente valido il brevetto in tutto il territorio della Ue e dovrebbero assicurare, con 3 sedi “principali” (Parigi, Londra e Monaco di Baviera), più una corte di Appello (in Lussemburgo) unità e coerenza in materia di contenziosi. Soprattutto si ridurranno i costi: si passerà dai 180mila euro annui (per un brevetto europeo tradizionale, ventennale, che interessi i 26 paesi) ai 35.500 euro annui per il brevetto unitario.
Il ragionamento di Londra è semplice: poichè la nuova disciplina che tutelerà i brevetti è un accordo intergovernativo – tanto è vero che viene ratificato da ogni singolo Stato – e lo stesso Epo non è un’agenzia di diretta emanazione Ue ma un’organizzazione internazionale con sede a Monaco, per il governo britannico la gestione del nuovo sistema non è incompatibile con i negoziati di Londra per uscire dall’Unione.
Ma per Milano è una “doccia fredda”. Essendo stato l’Italia, nel 2012, il 4° Paese per numero di brevetti sino ad allora depositati, ha perso per un soffio la possibilità di ospitare una delle 3 sedi di primo grado del tribunale per i brevetti e di facilitare, quindi, la vita alle proprie Pmi.
Milano, dopo l’esito di Brexit, si era, infatti, candidata ad ospitare, nel caso di uscita dalla Ue del Regno Unito, sia l’Agenzia europea per il farmaco che il Tribunale sui brevetti farmaceutici che, appunto, Londra dovrebbe ospitare.
Due bocconi troppo ghiotti. Ma bisognerà vedere che piega prenderanno i negoziati Londra-Bruxelles per capire se una o entrambe le istituzioni potranno davvero restare nel Regno Unito.
«Si tratta di una mossa inaspettata – ha detto Gualtiero Dragotti, partner Dla Piper e presidente di Aippi (Associazione internazionale per l la tutela della proprietà intellettuale) – che dimostra la forza del progetto europeo quando affronta esigenze concrete. La chiave di volta della decisione del Regno Unito risiede nella natura internazionale del tribunale unificato, che formalmente non è una istituzione Ue. Questa impostazione apre le porte a successivi sviluppi, come ad esempio l’adesione della Svizzera, che non appartiene all’Unione ma fa parte del sistema del Brevetto Europeo. In questo scenario l’Italia deve muoversi con attenzione, calibrando la tempistica delle sue iniziative».
«Se davvero gli inglesi ratificassero il brevetto unitario – ha detto Mattia Dalla Costa di CBA e presidente di LES Italia (associazione internazionale di studi legali che tutelano la proprietà industriale) – si creerebbe una situazione paradossale a livello comunitario con l’Inghilterra in uscita dalla Ue ma con un piede ancora dentro sulla tutela della proprietà intellettuale. L’accordo sul brevetto unitario prevede il riconoscimento della supremazia dei tribunali europei, istituzioni da sempre criticate dagli inglesi sin dai tempi della Thatcher. E sarebbe un peccato per l’Italia che a buon diritto poteva reclamare il trasferimento del tribunale di Londra competente in materia di life science e pharma a Milano in ragione del fatto che, dopo l’Inghilterra, l’Italia è il paese con il maggior brevetti a livello comunitario».
Per entrare in funzione, il tribunale per i brevetti Ue dovrà essere ratificato da almeno 13 Paesi (tra cui Francia, Germania e Gran Bretagna che sono le sedi principali delle corti). L’Italia è stato il 12° Paese. Se entro l’anno –o all’inizio del 2017 – arriverà il sì di Londra e, come previsto in chiusura, a ruota, quello di Berlino, il Tribunale unificato e il brevetto unitario potrebbero partire già a metà del 2017
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