Un distretto vitale. Indebolito dagli anni della crisi, ma che cerca riscatto sui mercati esteri. Oggi Valenza si presenta come una realtà industriale con circa 800 aziende e 4.700 addetti, ridimensionata rispetto al passato ma con grandi potenzialità. A cominciare dall’export, nonostante il rallentamento dei primi nove mesi dell’anno (-11,8%), dopo un 2015 molto positivo.
A caratterizzare il distretto orafo alessandrino la presenza di brand importanti come Damiani e Pasquale Bruni, grandi realtà produttive come il futuro stabilimento di Bulgari e una rete di piccoli produttori con forte know-how e tradizione. La terra del «Bello e ben fatto», quasi un mantra per il Made in Italy, anche nella gioielleria. Dove è possibile trovare aziende di nicchia come la Rcm, produttori specializzati nella creazione di pezzi unici e con un export al 95%, destinato prevalentemente al mondo arabo, o realtà come la Borsalino Diamanti, specializzata nella capacità di selezionale le pietre ad altissimo livello, per offrire ai produttori valenzani taglio, purezza e colore adeguati alle esigenze produttive e di mercato.
A delineare il quadro del distretto è uno studio di Intesa Sanpaolo da cui emergono sostanzialmente due cose, la solidità delle imprese grazie a un buon rapporto tra margini operativi e fatturato e il momento di stasi dopo la ripresa del 2014.
Le imprese del distretto di Valenza l’anno scorso sono cresciute poco, lo 0,7% del fatturato in più rispetto al 2,4 di Vicenza e al 4,2% di Arezzo. Questo dopo l’ottimo andamento del 2014, che ha fatto segnare una crescita nei ricavi dell’8%, meglio di qualsiasi altra area con la stessa specializzazione produttiva.
Dal punto di vista strutturale, come spiega Stefania Trenti, responsabile dell’Ufficio industry della Direzione Studi e Ricerche di Intesa, l’Ebitda, dunque il rapporto tra i margini operativi lordi e il fatturato, resta più alto in media tra le aziende valenzane rispetto a quelle degli altri distretti dell’oro italiani – intorno all’8,8% – sebbene in diminuzione dal 2013 ad oggi, «grazie anche ad una produttività del lavoro più alta» spiega Trenti.
La struttura industriale del distretto di Valenza vede la convivenza, gomito a gomito, di aziende più strutturate per dimensioni e fatturato e aziende piccole: e se da un lato le grandi imprese hanno fatto da driver con variazioni di fatturato importanti nell’ultimo biennio, anche la filiera però è cresciuta, tanto nei fatturati quanto nel margine operativo. La sfida, dunque, è tenere il passo e recuperare terreno. Per Francesco Barberis, a capo del gruppo aziende orafe valenzane di Confindustria Alessandria, «il mantenimento delle competenze manifatturiere e le capacità nel distribuire le nostre collezioni non possono prescindere dalla rivitalizzazione del sistema formativo».
Formazione e rete commerciale rappresentano temi centrali per il futuro del distretto, come sottolinea Augusto Ungarelli, responsabile di Vendorafa Lombardi e consigliere dell’Associazione delle aziende orafe di Valenza: «Serve un impegno importante sui percorsi di formazione per i mestieri della creatività ma soprattutto per costruire nuove competenze e profili professionali nell’ambito commerciale, necessari per competere su mercati sempre più affollati, protezionistici e con una competizione selvaggia». Per la Crivelli Gioielli, come testimonia Giulia Crivelli, «la via maestra è la focalizzazione sul brand e il lavoro che stiamo facendo per rendere sempre più riconoscibile la creatività di Crivelli».
Un distretto vitale, dicevamo, che però fa i conti con un mercato interno rimasto assai debole – la spesa media mensile delle famiglie italiane nella gioeielleria si è di fatto dimezzata negli ultimi dieci quindici anni – e un contesto internazionale condizionato dal calo della domanda, in particolare in Cina e India. Gli Stati Uniti restano l’area di maggiore interesse per i gioiellieri italiani, che lì se la giocano anzitutto con i cugini francesi e anche con le importazioni degli Usa dalla Cina. Tutto questo in attesa di una rispresa della Russia. Dal punto di vista dei mercati internazionali, dunque, la battaglia è aperta. Qui contano reti commerciali e brand, il tallone d’Achille per la stragrande maggioranza delle imprese valenzane. «Il distretto ha una grande ricchezza di know-how e capacità produttive che non vanno disperse – sottolinea Guido Damiani a capo del Gruppo Damiani – andrebbero messe a sistema, a servizio di brand importanti, serve un salto per evitare che il distretto si ridimensioni».
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