Economia

Crolla la produzione di idrocarburi in Italia

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Crolla la produzione di idrocarburi in Italia

Il 2016 è stato davvero l’anno nero per il petrolio in Italia con una produzione nazionale di greggio calata del 31,3% . Un tracollo determinato, in particolare, dallo stop produttivo del giacimento lucano della Val d’Agri in seguito all’inchiesta della Procura della Repubblica di Potenza che ha portato al sequestro, il 31 marzo scorso, del Centro Olio di Viggiano.

Gli effetti di cinque mesi con estrazioni di petrolio e gas in Basilicata pari a zero, con la graduale ripresa della produzione a partire da agosto, in una congiuntura economica complessa, con il calo del prezzo del petrolio, sono evidenti nel bilancio di fine anno. Si è scesi, praticamente ai livelli produttivi di un ventennio fa, passando da 5,4 milioni di tonnellate di greggio estratti nel 2015 a 3,7 milioni del 2016, ben 1,7 milioni di tonnellate in meno. Bisogna cioè tornare indietro nel tempo, al 2001 quando la produzione nazionale di greggio superava di poco i 4 milioni di tonnellate.

È lo scenario che emerge guardando i dati appena pubblicati sul sito del Ministero dello Sviluppo ‐ Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche. È evidente che sulla produzione nazionale di greggio, il peso maggiore lo ha la Val d’Agri con il giacimento dell’Eni (in joint venture con Shell) che ha inciso per il 61,3% sulla produzione complessiva e per il 71,7% su quella su terraferma. Nell’ultimo decennio le estrazioni lucane hanno inciso tra il 70 e l’80%. Ben si comprende, quindi, l’importanza per l’economia del Paese delle vicende che interessano il petrolio in Basilicata. Su 3,7 milioni di tonnellate di greggio estratti in Italia, quasi 2,3 sono arrivati dalla Val d’Agri, che è però la quantità di greggio più bassa estratta dal 2008 ad oggi.

Continua a calare, anche la produzione italiana di gas, soprattutto quella a mare. Seppure modesta nel computo nazionale complessivo, quella della Basilicata (regione maggiore produttrice di gas) incide su quella in terraferma per il 58,5% con un calo dell 2016 rispetto all’anno precedente del 32%, passando da 1,56 miliardi di metri cubi a poco più di un miliardo di metri cubi di gas.

L’ANDAMENTO
(Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore)

«Una mancata produzione di idrocarburi - sottolinea Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia – che va ben oltre il calo registrato, in un Paese che dipende ancora da importazioni per il settore energico pari al 75%. La produzione nazionale di idrocarburi, infatti, potrebbe tranquillamente raddoppiare per un volume aggiuntivo di 10 milioni di tonnellate di petrolio. Agli attuali livelli del prezzo del greggio, relativamente basso (circa 40 euro a barile nel 2016), questo equivale a un valore di tre miliardi di euro all’anno che servono per importare le stesse quantità dall’estero. Si perde così un’occasione per muovere l’economia nazionale con attività di ricerca e produzione petrolifera, con tassazione e con investimenti nella protezione dell’ambiente. È uno degli esempi di impossibilità di crescita dell’Italia».

Così se il 2016 è l’anno nero della produzione, il 2017 sarà drammatico per gli effetti economici. Mancati introiti che incideranno anche sulla tassazione, sul Pil, sull’occupazione con ripercussioni evidenti soprattutto in Basilicata dove si prevede un drastico calo delle royalties con forti difficoltà a chiudere i bilanci regionale e comunali. Dai 100,6 milioni di euro versati nel 2016 alla Regione Basilicata e ai 6 Comuni dell’area estrattiva si passerà a poco più di 35 milioni di euro che verranno erogati dalle compagnie petrolifere entro il 30 giugno.

Ma se il calo della produzione è dovuto principalmente al blocco della Val d’Agri e in Basilicata la Total (in joint venture con Shell e Mitsui) conta di avviare, entro la fine del 2017, la produzione del giacimento di Tempa Rossa (50 mila barili di petrolio al giorno), è pur vero che non c’è stata in Italia la sostituzione di piccoli campi e non ne sono stati sviluppati nuovi, nei quali erano previste perforazioni. Molti operatori hanno lasciato il Paese e in prospettiva, anche se si prevede una leggera ripresa, la produzione continuerà a declinare senza cambiamenti significativi. Nessun pozzo esplorativo è previsto nei prossimi anni, si tende a ottimizzare i giacimenti esistenti piuttosto che investire in ricerca e sviluppo di nuove risorse. E questo vuol dire anche minori elementi di conoscenza. C’è da dire che nuove istanze sono state recentemente presentate da Shell in Basilicata e in Campania, con l’utilizzo di una tecnologia innovativa (acquisizione geofisica passiva) che raccoglie le informazioni sul sottosuolo tramite piccoli sensori. Ma sono forti le opposizioni locali. «Uno degli obiettivi è di governare questo periodo di crisi in sicurezza – ribadisce Franco Terlizzese, Direttore generale del Mise –. Calo della produzione e degli investimenti non devono indurre a un calo degli standard ambientali e di sicurezza che, in ogni caso sono sempre stati molto alti nel nostro Paese».

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