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A Nordest il Pil fa +1,1%, ma la crescita resta ancora lenta

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A Nordest il Pil fa +1,1%, ma la crescita resta ancora lenta

Avanti, piano. Con una crescita certificata dai numeri, un Pil (+1,1%) superiore alla media nazionale e segnali positivi anche sul fronte dei consumi delle famiglie (+1,7%), ma ancora non basta. «Oltre i numeri positivi, appare problematica la qualità di questa crescita», spiega Stefano Micelli, direttore scientifico della Fondazione Nordest, che ieri a Vicenza ha presentato il Rapporto 2017.

Le buone notizie riguardano per il secondo anno consecutivo gli indicatori macroeconomici di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige che continuano a dimostrare vitalità, nonostante un contesto nazionale e internazionale instabile e complesso. Anche l’export resta in terreno positivo (+1,5% del Nord-Est rispetto a un +0,5% a livello nazionale, dato Istat al terzo trimestre 2016, + 1,1% stima Prometeia per il 2016), anche se il trend di crescita appare rallentato. E poi c’è l’exploit del settore agroalimentare, i cui numeri testimoniano una crescita che non può definirsi passeggera, con un export è passato dal 5% a quasi il 10% in pochi anni, trainato dalla filiera del vino.

Per il mercato del lavoro, il 2016 è stato un anno di assestamento; dopo i risultati ottenuti nel 2015 grazie allo sgravio contributivo, nel 2016 si assiste a una riduzione significativa dei contratti a tempo indeterminato (-32% nei primi nove mesi). Per contro, vi sono segnali di incremento nei contratti di apprendistato e nel ricorso ai voucher, segnali di una scarsa propensione all’investimento in capitale umano.

Le nubi arrivano guardando alla demografia: il Nord-Est registra indicatori che riflettono un quadro sempre più̀ problematico, a cominciare dal calo della popolazione residente, nel 2016 scesa sotto i 7,2 milioni di abitanti. Non solo: nonostante la “retorica dell’invasione”, i numeri restituiscono l’immagine di un Paese poco attrattivo dove le popolazioni migranti puntano a transitare più̀ che a rimanere e dove i giovani fra i 25 e i 34 anni tendono a lasciare le regioni del Nord-Est (circa il 21% di quanti emigrano ha laurea o dottorato di ricerca).

Guardando alle imprese, il dato più evidente è quello di una crescente polarizzazione: «Si allarga la forbice fra le top performer, aziende dinamiche sui mercati che hanno saputo crescere e investire in nuove tecnologie, e quell più arretrate: in sostanza chi andava bene va sempre meglio, mentre chi è rimasto indietro fa peggio», sottolinea Micelli. Notevole, indica lo studio, anche la differenza di performance fra chi ha saputo scommettere sulle nuove tecnologie come la stampa 3D e chi è rimasto tagliato fuori, anche in settori tradizionali come l’oreficeria.

Ora la sfida è disegnare il futuro: «Un progetto di rilancio della manifattura grazie alle opportunità offerte dal Piano Industria 4.0 può̀ contribuire in maniera determinante a rinnovare l’interesse di investitori internazionali per il sistema NordEst - sottolinea Micelli -. Per rendere un territorio più̀attrattivo serve un disegno politicamente condiviso da promuovere per invertire quei trend di medio e lungo periodo che rischiano di minare le fondamenta del suo successo economico». Un’area in cui «riprogettare la crescita - aggiunge Francesco Peghin, presidente della Fondazione - puntando su attrattività̀ e fiducia. È prioritario rendere il nostro territorio più attraente per i cervelli e per gli insediamenti di imprese, nuove e vecchie, ma dobbiamo anche imparare a valorizzare le positività che ci circondano».

Fra gli esempi ai quali guardare c’è Milano, con il Progetto Nuova Manifattura in città raccontato da Annibale D’Elia, a cominciare dalla messa a disposizione di locali pubblici o privati inutilizzati o dismessi. «Si deve anche ricostruire e sviuppare un capitale sociale che appare provato e sfiduciato», aggiunge Gianfelice Rocca, presidente Gruppo Techint e Assolombarda Milano Monza e Brianza. Intanto qualcosa si muove: «Nell’immaginario comune siamo parte del sistema scolastico, in realtà oggi gli atenei sono partner dello sviluppo economico e sociale», spiega Alberto Felice De Toni, rettore a Udine.

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