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Ilva e Riva Forni Elettrici verso il patteggiamento

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Ilva e Riva Forni Elettrici verso il patteggiamento

Il processo per il disastro ambientale contestato all’Ilva non «trasloca» più dalla Corte d’Assise di Taranto a quella di Potenza: non c’è alcun conflitto e i giudici tarantini possono pronunciarsi. Due dei 47 imputati, e cioè le società Ilva e Riva Forni Elettrici (la prima in amministrazione straordinaria e commissariata da giugno 2013, la seconda, invece, rimasta nella gestione dei Riva) escono dal processo e approdano con la loro istanza di patteggiamento ad un nuovo collegio giudicante. Una terza società che voleva seguire lo stesso percorso, l’ex Riva Fire, a fine 2016 ridenominata «Partecipazioni Industriali», resta invece nel processo e non potrà più patteggiare perchè il dibattimento si è aperto da ieri pomeriggio.

La difesa di quest’ultima società - ammessa all’amministrazione straordinaria, finita nel perimetro dei commissari Ilva e affidata ad un curatore speciale dal Tribunale di Milano - aveva chiesto uno stralcio della posizione per consentire nel frattempo lo sblocco dei fondi dei Riva: un miliardo e 300 milioni, custoditi nei trust dell’isola di Jersey e destinati al risanamento ambientale del siderurgico di Taranto. Questo tenuto conto che la Corte del Jersey si pronuncerà sullo svincolo il 10 marzo (avrebbe dovuto farlo ai primi di febbraio ma l’udienza saltò per l’indisponibilità di un giudice). Sullo stralcio dell’ex Riva Fire anche la Procura aveva detto sì, ma la Corte d’Assise, presieduta da Michele Petrangelo, è stata di diverso avviso e quindi quella che fu la capogruppo dei Riva che controllava lo stabilimento di Taranto resta in «Ambiente Svenduto» insieme agli altri 45 imputati, fra i quali Nicola e Fabio Riva -, figli dello scomparso Emilio -, ex amministratori di Ilva e Riva Fire, l’ex presidente di Ilva, Bruno Ferrante, l’ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso, ma anche l’ex governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, e l’attuale sindaco di Taranto, Ezio Stefàno (molto diversi i capi di imputazione contestati a ciascuno di loro).

Il no al patteggiamento di «Partecipazioni Industriali» non dovrebbe ostacolare il rientro dei soldi dei Riva in Italia anche perchè frutto di un accordo transattivo tra il gruppo, l’Ilva, le Procure di Taranto e Milano. Inoltre, già all’indomani del no del gip di Milano al patteggiamento dei Riva in un processo per altri reati, il gruppo ha riconfermato la volontà di rispettare gli accordi stipulati. Semmai, potrebbero sorgere problemi sulla tempistica del trasferimento delle risorse, ma questo è un altro discorso.

Il patteggiamento di Ilva prevede che la società sia soggetta a otto mesi di commissariamento giudiziale affidato agli stessi commissari e versi 241 milioni a titolo di confisca, quale profitto del reato compiuto tra il 2009 e il 2013, e altri 2 milioni come sanzione. L’Ilva, però, essendo in amministrazione straordinaria, non verserà materialmente questi soldi. Rientreranno nello stato della procedura aperta al Tribunale di Milano. Più contenuto, invece, l’esborso di Riva Forni Elettrici per il patteggiamento: circa 2 milioni.

La Corte d’Assise ha infine respinto le eccezioni della difesa di alcuni imputati per i quali i giudici di Taranto non possono pronunciarsi sull’Ilva. Fra i casi emblematici citati, il fatto che una delle mille parti lese è un ex giudice, all’epoca dei reati contestati componente non togato della sezione agraria del Tribunale. Ma il fatto che il collegio dell’Assise abbia rigettato le eccezioni, non impedisce ai legali di riproporle in Appello o in Cassazione. Il che vuol dire che il trasferimento del processo resta comunque una mina vagante.

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