A valle delle schermaglie e dei rilanci a mezzo stampa delle ultime settimane tra le cordate in gara, l’ultimo miglio della presentazione delle offerte definitive per gli asset dell’Ilva in amministrazione straordinaria (le buste sono state aperte dai commissari lunedì pomeriggio) ha fornito nuove indicazioni sugli equilbri interni delle due cordate e sui rispettivi percorsi di sostenibilità finanziaria dei progetti industriali e dei veicoli ideati per l’operazione.
Am Investco Italy, la joint venture formata da ArcelorMittal (all’85%) e dal gruppo Marcegaglia (detiene il 15%), ha annunciato ieri, a pochi minuti dalla presentazione, di avere siglato una lettera di intenti con Banca Intesa Sanpaolo (che resta uno dei grandi creditori di Ilva in amministrazione straordinaria) per l’ingresso dell’istituto nel consorzio. Una scelta in linea con quanto indicato pochi giorni prima dal ceo di ArcelorMittal Europe per i prodotti piani, Geert Van Poelvoorde, che ha sottolineato come Am Investco Italy sia da sempre «aperta a chiunque voglia farne parte».
Le modalità dell’operazione non sono ancora state comunicate, anche se il dossier Ilva era sul tavolo dei vertici di Intesa Sanpaolo da tempo. Secondo le prime indicazioni, però, si apprende che il principale istituto bancario italiano all’interno della compagine avrà solo un ruolo nell’equity, e non parteciperà, per questo motivo al pool di credito, nè a sostegno della cordata, nè a sostegno dei singoli azionisti. La presenza di Intesa Sanpaolo, che formalizzerà il suo ingresso nella compagine solo a fronte di un’eventuale aggiudicazione, va inquadrata in un’ottica di garanzia nel salvataggio e rilancio dell’Ilva: significativo, da questo punto di vista, il fatto che un eventuale ingresso (con tutta probabilità rilevando parte della quota di ArcelorMittal) riequilibrerebbe l’italianità di questo consorzio, oggi eccessivamente «sbilanciato», secondo molti osservatori, nella componente straniera (soprattutto se si considera la strategicità di un asset come Ilva per la dorsale manifatturiera nazionale). Ieri gli analisti di mercato hanno giudicato positivamente l’operazione di ArcelorMittal su Ilva, nonostante si riconosca che possa avere un effetto moderatamente negativo sui bond emessi dal gruppo franco-indiano.
Non ha problemi di italianità, invece, AcciaItalia. Il consorzio, retto da un asse industriale formato dall’alleanza tra la cremonese Arvedi (possiede il 10%) e l’indiana Jindal south west (possiede il 35%), è sorretto finanziariamente soprattutto da Delfin (la finanziaria riconducibile all’imprenditore Leonardo Del Vecchio, presidente di Luxottica) e da Cassa depositi e prestiti (con un ruolo di anchor investor in chiave di valorizzazione del settore e a tutela dell’indotto), che assommano, insieme, una quota del 55 per cento del capitale. Il chairman di Jsw, Sajjan Jindal, ha spiegato nei giorni scorsi che «non esiste ancora un piano formale, ma è evidente che i partner finanziari non rimarranno nel lungo periodo all’interno della cordata».
Una volta avviato il rilancio di Ilva, «l’intenzione è listare Ilva in un Borsa europea, con tutta probabilità a Piazza Affari. A quel punto i partner finanziari saranno liberi di uscire dall’investimento, se lo vorranno». Sarà possibile, a quel punto, l’ingresso di altri partner industriali, considerando che in quella fase, secondo il parere di Jindal, «l’interesse degli investitori stranieri sarà aumentato». Il chairman di Jsw non ha escluso l’ingresso in capitale di Jfe, secondo operatore giapponese e attuale socio di Jindal, di cui detiene una quota del 15 per cento.
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