«Abbiamo chiuso il 2016 con un incremento del fatturato del 6,6%, superiore sia alle previsioni sia alla crescita dei competitor tedeschi. E nel primo trimestre di quest’anno abbiamo addirittura aumentato i volumi del 12%: si prospetta un 2017 ancora migliore del consuntivo che ci lasciamo alle spalle». È un quadro senza ombre quello presentato dal presidente di Ucima, Enrico Aureli, in chiusura dell’assemblea annuale dei costruttori italiani di macchine automatiche per il confezionamento e l’imballaggio.
Una nicchia dei beni strumentali, quella del packaging, in cui l’Italia gioca sullo scacchiere mondiale da co-leader assieme ai tedeschi, con 6,6 miliardi di euro di giro d’affari, per l’80% fatto di export.
Gli incentivi straordinari del piano Industria 4.0 incidono poco, come conferma il +6,5% di vendite sul mercato domestico nei primi tre mesi del 2017 (dopo il +10,4% del 2016) a fronte di un +13% sui mercati esteri. E il +9,9% di ordini in Italia va di pari passo con il +8,3% raccolto all’estero. «In generale vanno bene tutti i mercati - spiega il direttore di Ucima, Paolo Gambuli - e si prevede un trend di crescita per i prossimi tre anni attorno al +5% sia all’interno sia su scala globale. Lo scontro commerciale con i produttori cinesi si fa sempre più duro ma la nostra sfida è crescere almeno quanto cresce il mondo e abbiamo le carte in regola per farcela, sia per tecnologie sia per competenze e ora anche forze fieristiche». Il riferimento è a Ipack-Ima, il salone del processing&packaging acquisito al 51% da Ucima, che ripartirà a Milano il 29 maggio 2018 con il ritorno di tutti i big del made in Italy (Ima, Coesia, Marchesini su tutti) e nuove alleanze con le altre grandi fiere internazionali, a partire dalla numero uno, Interpack Düsseldorf.
E se un neo va trovato nel settore è l’estrema frammentazione, sinonimo peraltro anche di flessibilità e specializzazione: sono 601 le aziende italiane del packaging, il doppio di quelle in Germania a parità di business; la metà sono microrealtà che assieme fanno il 4% dei ricavi totali, mentre i 19 big realizzano il 55% dei volumi con una redditività tre volte superiore alle “small size”. «È in atto un processo di rafforzamento attraverso M&A, anche fuori dall’Italia, per offrire macchine e servizi local for local», precisa Aureli. Chiudendo con un’ultima buona notizia: nel 2016 sono tornate a salire molto, +6,3%, anche le assunzioni (sono quasi 30mila gli occupati) . «Significa che gli imprenditori hanno fiducia non si tratti di una bolla ma di una crescita che ci accompagnerà negli anni futuri».
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