Con il viavai estivo di navi da crociera in quello che potrebbe essere il principale porto passeggeri del Mediterraneo si riapre il dibattito sulle grandi navi a Venezia. Nuova ipotesi: scacciamo le navi più grandi dal centro storico e allontaniamole a Marghera. Se ne dovrebbe discutere in questi giorni a un tavolo tecnico del ministero delle Infrastrutture a trasporti. Ingombranti, pachidermiche, nel finesettimana che ha chiuso il giugno 2017 e ha inaugurato il mese di luglio il porto di Venezia ha visto l’arrivo e la partenza di ben dieci navi da crociera che hanno occupato tutti gli ormeggi disponibili alla stazione marittima.
Venezia è un “home port”, il porto di imbarco e sbarco e non una tappa della crociera. Per chi ama i confronti di dimensioni, tra gli altri maggiori porti crociere Barcellona ha nove ormeggi e Civitavecchia otto. In due giorni dieci navi in evoluzione tra il Molino Stucky, il globo dorato della Dogana e le colonne palladiane di San Giorgio significano decine di migliaia di foto e decine di migliaia di commenti rabbrividiti dei turisti di fronte al fascino ambivalente del gigantismo navale. Così il sindaco Luigi Brugnaro ha voluto anticipare il piano del Governo e dell’Autorità del Porto per togliere quella vista imbarazzante dagli occhi internazionali del turismo: mandiamole a Marghera. Cioè mandiamo le crociere in tutt’altra parte della laguna, nel porto industriale al quale si arriva passando dalla porta di servizio del porto di Malamocco insieme con le petroliere, i container e i mercantili. Perplesso il presidente del terminal crocieristico Vtp, Sandro Trevisanato: l’ipotesi Marghera è interessante se i tre ormeggi ipotizzati si aggiungono agli altri, ma non se i tre accosti sono sostitutivi al posto dei dieci ormeggi attuali.
Tutto nasce nella primavera 2012 quando, dopo il naufragio della nave da crociera Costa Concordia sugli scogli dell’isola del Giglio (Grosseto), i ministri dello Sviluppo economico Trasporti e Infrastrutture (Corrado Passera) e dell’Ambiente (Corrado Clini) emanarono un decreto anti-inchini che fra l’altro vietava il passaggio delle navi da crociera più grandi nel tragitto classico veneziano davanti a piazza San Marco. Il divieto sarebbe stato attuato dal momento in cui fosse stata trovata la soluzione alternativa.
Si seguirono progetti e idee uno più impattante dell’altro finché la soluzione alternativa arrivò quando fu formalizzato un progetto privato (il cosiddetto De Piccoli-Duferco) per un terminal da costruire al confine fra le acque lagunari e quelle del mare aperto. Quel progetto piaceva agli ambientalisti, ai comitati contro le grandi navi e agli intellettuali di terraferma. E non spiaceva alla valutazione di impatto ambientale del ministero dell’Ambiente. Ma non piaceva al Comune, al provveditore del porto e al ministero delle Infrastrutture.
La nuova soluzione, secondo il sindaco Brugnaro, consiste nella costruzione di due accosti a Marghera dal 2019 in area Fincantieri, seguiti da un terzo al canale Brentelle nel 2021, riservati a quelle navi più colossali oltre le 100mila tonnellate di stazza verso cui si orienta il mercato. Per Brugnaro comunque con calma sarà approfondito il canale tra Venezia e Marghera per consentire in futuro l’attracco anche alla stazione marittima con i suoi dieci posti nave, ma raggiunta in questo caso dalla via di servizio invece che dall’ingresso padronale davanti a piazza San Marco. La scelta di Marghera piace al sottosegretario all’Economia e finanze Pier Paolo Baretta: «La scelta definitiva di attracco a Marghera raccoglie le due principali istanze sostenute dalla gran parte dei veneziani: bloccare il passaggio in bacino di san Marco ed evitare lo scavo di nuovi canali».
Sandro Trevisanato, presidente della Spa pubblica Venezia Terminal Passeggeri è cauto. L’incertezza continua sul futuro sta allontanando compagnie di navigazione dal porto di Venezia, 400mila passeggeri in meno in pochi anni, mentre la taglia media delle navi si ingrandisce. «Le navi più grandi ora in allestimento inquinano meno e sono più sicure. Da qui al 2024 sono in costruzione 66 navi da crociera, di cui 49 sopra le 96mila tonnellate di stazza e appena 17 con dimensioni inferiori alle 96mila tonnellate», avverte Trevisanato.
A titolo di esempio sono in arrivo da Aida e Costa due unità da 180mila tonnellate e 5mila passeggeri, la Star nel 2020 schiererà una nave da 201mila tonnellate e nel 2021 la sua gemella, nel 2022 la Msc avrà un colosso da 200mila tonnellate. Se il porto di Venezia non vuole le navi grandi, non vuole un business che contribuisce a tenere in vita la città con 4.300 addetti diretti e 400-500 milioni di giro diretto d’affari. Il giro d’affari indiretto è assai più alto perché, a differenza delle carovane del turismo d’abbordaggio che invade Venezia con 20 milioni di ciabattoni l’anno, le crociere che si generano a Venezia e ritornano a Venezia producono un gran numero di soggiorno di fascia alta: molti di coloro che partono per la settimana di crociera completano il viaggio con un finesettimana in città con permanenza in albergo, cena al ristorante e visita al museo.
«E pensare che fino agli anni ’90 per il bacino San Marco passavano 12mila navi l’anno di ogni tipo, comprese le petroliere e le chimichiere», osserva Trevisanato. Il decreto Clini Passera del 2012 e le ordinanze applicative hanno limitato il passaggio alle navi oltre le 96mila tonnellate con un limite di 508 accosti l’anno, pari a 1,78 milioni di passeggeri l’anno nel 2013, scesi a 1,6 milioni nel 2014 e a 1,4 milioni di passeggeri nel 2017.
Le compagnie di crociera non gradiscono l’incertezza italiana e cominciano a spostare qualche imbarco a Bari o ad Atene, sebbene non via sia una meta così appetibile come Venezia e che non siano così ben servite da treni, autostrade e aeroporti . In aggiunta le crociere nel Levante sono scoraggiate anche dal dramma siriano, dalle tensioni in Turchia, dai flussi migratori sulle isole greche.
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