L’export ha toccato lo scorso anno in Emilia-Romagna i 56 miliardi di euro, con un incremento record del 18% rispetto al periodo pre crisi che ha permesso di compensare il parallelo crollo di domanda e consumi interni. Il Pil regionale è tornato a crescere oltre la media (+1,4% nel 2016) portando il divario positivo con il resto d’Italia dai due punti del 2007 ai sei punti di oggi. E il tasso di disoccupazione negli ultimi 24 mesi è sceso dal 9% sotto quota 7 per cento.
È questo il contesto che il presidente uscente di Confindustria Emilia-Romagna, Maurizio Marchesini, lascia al suo successore, il modenese Pietro Ferrari, in un passaggio di testimone incorniciato ieri da un dato emblematico: il 92,5% delle imprese ha realizzato investimenti nel corso del 2016.
Percentuale che non ha precedenti negli ultimi dieci anni (era all’89,6% nel 2007) e che si prevede in ulteriore accelerazione in questi mesi, sulla scia degli incentivi del Piano 4.0. Investimenti legati soprattutto a strategie aziendali mirate all’ingresso in nuovi mercati (61% delle aziende) più ancora che a ridurre i costi (49%) o a innovare prodotti (47,4%). A conferma di una apertura internazionale dell’industria emiliana (prima in Italia per export pro capite) che va di pari passo con la capacità del territorio di attrarre capitali esteri: «Siamo subissati di richieste di multinazionali di venire a insediarsi qui», afferma a margine del convegno il presidente della Regione, Stefano Bonaccini. È di tre settimane fa l’annuncio che l’americana Philip Morris raddoppierà l’investimento in Valsamoggia, un miliardo di euro in quattro anni per farne il primo polo produttivo al mondo di sigarette a rischio ridotto; e altri 700 milioni li hanno scommessi i tedeschi di Audi su Sant’Agata per il suv Lamborghini.
Investimenti e internazionalizzazione sono i due propulsori della crescita industriale emiliana. È una vera «ossessione per la crescita - così la chiama Marchesini - quella che ha contraddistinto i miei cinque anni di mandato, dalla nomina nel giugno 2012, in pieno terremoto, sotto una tensostruttura a Finale Emilia a oggi». Un’ossessione condensata nel Patto per gli investimenti lanciato a fine 2012 «per promuovere una politica industriale europea e riaffermare un principio che mi è molto caro: prima di pensare a come redistribuire ricchezza, bisogna produrla. E la ricchezza si produce in fabbrica», rimarca il presidente uscente. A Pietro Ferrari - fino al 2014 presidente di Confindustria Modena, co-autore della fusione con Bologna e Ferrara, alla guida dell’azienda di famiglia, la centenaria Ing. Ferrari Spa - spetta ora il compito di recuperare quegli ultimi 4 punti e mezzo di Pil che riporteranno l’economia regionale ai massimi del 2006. Per andare oltre: «Entro in corsa alla guida di una locomotiva che sta trainando il Paese - afferma Ferrari - e dopo una presidenza impegnativa da eguagliare. Metterò assieme i tasselli di un ecosistema che ha gli asset per essere ancora più competitivo, a partire da distretti e filiere. E interverrò da subito per cercare di colmare i gap di professionalità tra ciò che offre la scuola e ciò che serve all’impresa».
A fare da sponda c’è un’amministrazione regionale che dal Patto per il lavoro alla Legge sull’attrattività ha sempre fatto squadra con l’industria. «Proprio per non rallentare la nostra marcia virtuosa - anticipa Bonaccini - stiamo lavorando per chiedere al Governo italiano di attivare l’articolo 116 della Costituzione e riconoscere maggiore autonomia alla regione. Veneto e Lombardia lo stanno facendo attraverso la strada del referendum, noi vorremmo arrivarci per via normativa,risparmiando i soldi delle urne, dall’esito scontato, per investirli invece su attrattività e internazionalizzazione. I due solchi su cui incanaleremo tutte le risorse nostre ed europee».
Ma investimenti e crescita sono «una precondizione per contrastare disuguaglianze e povertà» e garantire un futuro ai nostri giovani, afferma il presidente di Confindustria nazionale, Vincenzo Boccia, intervenendo all’Opificio Golinelli, la cittadella bolognese per la conoscenza, luogo simbolo di attenzione per le nuove generazioni. «L’Emilia-Romagna - conclude – è una punta industriale avanzata del Paese che sta reagendo. Allo stesso tempo, però, c’è una parte ancora indietro. Dobbiamo fare in modo che tutti vadano in una dimensione di crescita, interna alle imprese ed esterna al Paese. Perché il divario cresce sia tra le imprese ma anche tra i cittadini, cresce tra i Paesi e cresce anche tra giovani e società».
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