L'automation ethicist è un esperto di intelligenza artificiale che studia l'impatto etico e sociale dei macchinari intelligenti. O meglio, sarà: al momento non esiste, ma potrebbe diffondersi a ritmo sempre più intenso insieme a profili specializzati nel valutare l'utilità delle tecnologie (AI usefulness strategist) o “educare” all'empatia gli assistenti virtuali come Siri di Apple o Alexa di Amazon (emphaty trainer). Le figure emergono da un'indagine di Accenture sulle «categorie di lavoro nuove e interamente umane» nel mercato del lavoro digitale. Non si parla di ruoli che sostituiscono le figure eliminate dall'automazione, ma di mansioni «nuove e che richiedono abilità e formazione senza precedenti».
La materia prima saranno soprattutto gli algoritmi, i procedimenti automatici, senza escludere competenze legate al controllo di azioni e messaggi veicolati dalle tecnologie. Facebook ha annunciato solo a maggio l'assunzione di 3mila moderatori per vigilare in maniera più accurata sui contenuti pubblicati e diffusi dalla sua piattaforma. Un ruolo che non può essere svolto, per ora, solo dai software.
I tre macrosettori del futuro…
L'analisi di Accenture ricomprende le nuove professionalità in tre macro-settori, a seconda della funzione svolta: trainers, explainers e sustainers. I trainers saranno chiamati a istruire gli algoritmi su come eseguire i propri compiti, magari spingendosi oltre la meccanicità delle funzioni di base. Le aziende potrebbero avere bisogno di specialisti capaci di far comprendere ai bot le sfumature e il significato non letterale delle frasi (Customer-language tone and meaning trainer) o insegnare alle macchine a imitare i comportamenti dei dipendenti umani (smart-machine interaction modeler). Gli explainers (letteralmente: spiegatori) avranno la funzione di «colmare il gap» tra sviluppi tecnologici e applicazioni nel business: in altre parole, come tradurre le sperimentazioni di intelligenza artificiale in valore aggiunto per le imprese e i rispettivi manager.
Qualcosa che potrebbe essere affidato ai già citati “usefulness strategist”, oltre a reti di divulgatori che mostrino ai dipendenti di aziende tradizionali come funzionano le soluzioni più innovative. Infine i sustainers, protagonisti del passaggio conclusivo: valutare e controllare l'impatto delle tecnologie di Ai, ad esempio promuovendo o bocciando gli algoritmi sperimentati in base a precisi indicatori di performance (Machine relations manager).
I ruoli sono meno avveniristici di quanto potrebbe sembrare. Anche se non si chiamano come consiglia Accenture, le professioni «del futuro» sono già messe in pratica da grandi gruppi e startup del tech . Gli ingegneri di Yahoo, ad esempio, hanno realizzato degli algoritmi che riescono a percepire il sarcasmo nelle conversazioni sui social media con un grado di precisione pari – a dire dell'azienda - all'80%.
…e le professioni che esistono già
Non che i lavori nell'artificial intelligence siano proiettati solo al futuro. Lo scorso giugno, un'indagine del Sole 24 Ore ha registrato un totale di oltre mille posizioni aperte nel settore in otto colossi Ict, da Microsoft a Facebook. Le opportunità registrate includono machine learning specialist (gli esperti di machine learning, l'apprendimento automatico delle macchine), A.i. product manager (manager di prodotti specializzati in intelligenza artificiale) e ingegneri per lo soluzioni di deep learning (i sistemi di “apprendimento profondo), oltre a figure più generiche dell'industria Ict come software engineer, specialisti di cloud e naturalmente data scientist, gli “scienziati dei dati” che si occupano di analizzare gli enormi flussi di informazione della Rete e trasformarli in elementi preziosi per la riproduzione dell'intelligenza umana.
Le retribuzioni possono variare, ma nel caso degli artificial intelligence engineer l'asticella arriva fino a picchi di oltre 100mila dollari. Sempre che si riesca ad essere assunti, vista la concorrenza nel settore e la corsa dei giganti tech ad accaparrarsi i talenti migliori sul mercato.
Le lauree utili per lavorare nel settore
Non è facile indicare una laurea più adatta di altre alle carriere nell'intelligenza artificiale, per un motivo abbastanza semplice: «È l'intelligenza artificiale stessa che deve ancora essere definita» fa notare Riccardo Zecchina, esperto di Ai e ordinario al Dipartimento di scienze delle decisioni dell'Università Bocconi. Il ventaglio di corsi “utili” spazia dall'ingegneria informatica alla statistica, passando per le scienze pure come matematica e fisica e le discipline umanistiche, da filosofia del linguaggio e semiotica. L'importante è integrare qualsiasi background con «una robusta base quantitativa e computazionale – dice – Si può essere competenti in economia o in linguistica, ma bisogna capire in ogni caso concetti fondamentali come machine learning (l'apprendimento automatico delle macchine, ndr) e soprattutto la gestione dei dati: in fondo si parla di analisi di informazioni, non di fantasie futuristiche su robot e quant'altro» .
Il consiglio, però, è di non farsi affascinare troppo dalle specializzazioni «che vanno di moda in un certo momento»: l’intelligenza artificiale corre a un passo più veloce di qualsiasi master. «I giovani non si devono specializzare troppo precocemente perché è un'industria che si evolve a ritmi rapidissimi – dice Zecchina –. Semmai bisognerebbe farsi le ossa con i fondamentali e poi maturare le skills più utili, per cogliere (e non essere vittime) delle opportunità che si creano».
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